Gela, la fitta rete di rapporti istituzionali dei Luca Tutte le accuse all’ex commissario Giovanni Giudice

La protezione del clan Rinzivillo di Cosa Nostra da un lato e quella di alcuni esponenti delle forze dell’ordine dall’altro. L’ascesa dei Luca – gli imprenditori di Gela che hanno fatto le loro fortune vendendo auto e immobili in tutta la Sicilia – avrebbe goduto di un doppio aiuto. «Un quadro desolante», viene definito dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta che l’1 luglio ha fatto scattare l’operazione Camaleonte, con l’arresto dei fratelli Francesco Antonio e Salvatore Luca, e del figlio di quest’ultimo, Rocco Luca, indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. Insieme a loro sono indagati altri esponenti della famiglia e un dirigente di polizia, Giovanni Giudice, attualmente a capo dell’Anticrimine di Perugia, e con un lungo servizio in Sicilia: commissario a Gela, dove entra in contatto con i Luca, poi a capo della squadra mobile di Caltanissetta e infine alla questura di Agrigento prima di essere trasferito in Umbria. È accusato di corruzione, accesso abusivo a sistemi informatici in uso alla polizia e rivelazione di segreto d’ufficio.

È lui, secondo i magistrati guidati da Amedeo Bertone, il principale, anche se non unico, uomo delle istituzioni che avrebbe agevolato i Luca, filtrando informazioni riservate sulle indagini a loro carico, provando a tenerli lontani da approfondimenti giudiziari e accreditandoli come imprenditori antimafia. Come ricostruito da MeridioNews, Salvatore Luca, fondatore della Lucauto, già nel 2006 viene colpito da un sequestro di circa 60 milioni di euro ed è accusato dalla Dia di Caltanissetta di essere un prestanome del clan Rinzivillo. Ma pochi mesi dopo il provvedimento, l’imprenditore denuncia di essere vittima di estorsione da parte del clan rivale, gli Emmanuello. Una testimonianza raccolta non dalla stessa Dia, ma dalla polizia guidata proprio da Giudice e che porterà a diversi arresti. Oggi la Procura nissena la definisce «una pseudo collaborazione, al solo e dichiarato scopo di ottenere la revoca del sequestro preventivo della sua concessionaria». Cosa che avviene sei mesi dopo la denuncia.

I Luca avrebbero messo su «un sistematico scambio di favori» con alcuni esponenti delle forze dell’ordine basato sulla compravendita di auto di lusso. La concessionaria acquistava da terzi le macchine, le vendeva a esponenti delle forze dell’ordine a un prezzo minore, e a distanza di pochi anni le comprava nuovamente dagli stessi soggetti a un costo superiore. Lasciando sostanzialmente nelle tasche degli uomini delle istituzioni diverse migliaia di euro. «Una fitta rete di rapporti istituzionali – scrivono i magistrati – che in alcuni casi si sono tradotti in specifici reati, in molti altri in scambi di favori, espressione di una sistematica e reciproca disponibilità tra indagati e pubblici ufficiali e, in tal senso, sicuramente censurabili sotto l’aspetto dell’opportunità».

Il primo di questo elenco è il dirigente Giudice, che tra il 2007 e il 2011 acquista e rivende una Bmw, una Fiat Idea e un’Alfa Romeo (quest’ultima – ed è il caso più emblematico – comprata a 9.500 euro e rivenduta alla stessa concessionaria a 13.500). Il funzionario di polizia avrebbe ricevuto in regalo anche un soggiorno per due persone al Grand Hotel Plaza di Roma il 27 e 28 ottobre 2011 al costo di 300 euro pagati con American Express della Lucauto srl. Il Gico della Guardia di Finanza di Caltanissetta che ha svolto le indagini ha ritrovato nella sede della società la fattura dell’albergo intestata a Giovanni Giudice. In cambio della sua disponibilità avrebbe avuto anche sconti su soggiorni in case vacanze.

Dal canto suo, Giudice avrebbe fatto accesso abusivamente alla banca dati delle forze dell’ordine per scoprire eventuali indagini a carico dei Luca. «Avevi ragione tu, Rocco», comunica il dirigente al più piccolo dei Luca dopo avere avuto conferma dell’apertura dell’indagine. «Anche se praticamente è un lavoro così preliminare ancora, però è come dici tu». Oltre a Giudice, a spiare il sistema informatico del Viminale per conto dei Luca, sarebbe stato anche un uomo, originario di Vittoria, dipendente dell’Aisi (i Servizi segreti civili) e in contatto con lo stesso Giudice.

E ancora, nonostante quest’ultimo avesse lasciato Caltanissetta, avrebbe potuto contare all’interno della squadra mobile sui suoi fedelissimi. Come Giovanni Arrogante (indagato ma essendo in quiescenza non oggetto di misure cautelari). È proprio a lui che inizialmente la Procura nissena aveva affidato le prime verifiche sui Luca. L’agente comunica ai magistrati solo due utenze telefoniche di Rocco Luca da mettere sotto controllo, omettendo la terza, quella attraverso la quale lui stesso parlava con l’indagato. Alla fine le indagini, con l’accordo anche della dirigente della Mobile Marzia Giustolisi, vengono affidate alla Finanza.

Nelle pagine dell’ordinanza spuntano altri nomi di pubblici ufficiali che avrebbero goduto delle facili compravendite dei Luca. Alcuni di questi già noti alle cronache perché coinvolti in altre vicende. C’è ad esempio Angelo Bellomo, l’ex capocentro della Dia di Catania condannato dalla Corte dei Conti in primo grado e imputato per falso ideologico in atto pubblico e truffa aggravata ai danni dello Stato per aver utilizzato come alloggio di servizio un appartamento preso in affitto proprio dalla Lucauto, ma in realtà mai utilizzato. Ci sono Giuseppe D’Agata (ex capocentro Dia di Palermo e poi ai servizi segreti civili) e Mario Sanfilippo (luogotenente della Finanza), entrambi imputati nel processo Montante; o ancora Luciano Vedda, maresciallo della finanza in servizio a Gela fino al 2015 e poi ad Agrigento, già emerso in rapporti con Salvatore Rinzivillo nell’indagine Extra fines 2 dello scorso gennaio.

Salvo Catalano

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