Formazione/ I pro (pochi) e i contro (tanti) dei Contratti di solidarietà

IL NOSTRO DUBBIO E’ CHE SI STAREBBE CONSUMANDO UN ALTRO RAGGIRO A DANNO DEI LAVORATORI. CON L’AVALLO DELLE SOLITE SIGLE SINDACALI. PER LA PRECISIONE, DI TUTTE LE SIGLE SINDACALI. CHE INFATTI TACCIONO RELIGIOSAMENTE

Al via i contratti di solidarietà difensiva di tipo ‘B’ nel settore della Formazione professionale per le imprese non rientranti nel campo di applicazione della Cassa integrazione guadagni straordinaria come previsto dall’articolo 5, comma 5, della legge n.236 del 19 giugno 1993.

Enti e sindacati corrono verso gli accordi o verso il muro per sbatterci la faccia?

È delicatissima la questione che viaggia sul filo dell’illegittimità e dell’inapplicabilità di uno strumento pensato dal legislatore nazionale per correre in aiuto delle aziende che versano in regime di temporanea crisi aziendale e che nel settore della Formazione professionale in Sicilia suscita qualche perplessità.

Sì, perché c’è da chiedersi: nel settore della formazione professionale cosa significa temporanea crisi aziendale?

Se non c’è alcuna programmazione futura sulle attività formative da parte del Governo regionale – ed è così – e gli enti operano in regime di mono commessa come si configura il concetto di temporaneità? E visto che la crisi è strutturale e non esiste alcun percorso amministrativo che possa far ritenere con certezza che le commesse agli enti formativi verranno garantite anche dopo la chiusura della terza annualità dell’Avviso 20/2011, che dovrebbe partire nelle prossime settimane, appare davvero una forzatura immaginare l’applicazione per 12 mesi, oppure 18, di uno strumento che dovrebbe accompagnare l’azienda transitoriamente ad uscire dalla crisi.

La crisi nel settore della formazione professionale è legata alla capacità di attrarre finanziamenti, di programmare un piano formativo decente ed in linea con i principi della pianificazione comunitaria e di armonizzare le attività formative con gli istituti contrattuali che regolano il contratto di settore.

Di più: è stato valutato l’impatto sugli istituti contrattuali previsti dal Contratto collettivo di lavoro della formazione professionale che potrebbe derivare dall’introduzione del contratto di solidarietà difensiva?

In altre parole: come si può pensare di adottare uno strumento che comprime la capacità reddituale di lavoratori già in grandissima sofferenza senza prevederne, a bocce ferme, gli effetti giuridici, economici e sociali?

Come al solito il Governo Crocetta viaggia a tentoni, senza un programma preciso.

Ancora: uno strumento così importante – che presenta non pochi dubbi – si mette in atto nel piano di una crisi di Governo dagli esiti incerti?

Il dubbio è che questo passaggio – adottato in un momento politico delicato – possa preludere a una condizione di non ritorno per un settore economico già provato da una pesante crisi. E’ superfluo ricordare che ci sono oltre 8 mila lavoratori a rischio.

Governo regionale, associazione degli enti formativi e organizzazioni sindacali hanno contezza di quello che stanno mettendo a punto? Si rendono conto di quello che potrebbe succedere?

L’utilizzo del contratto di solidarietà difensiva nel settore della formazione professionale serve veramente a ridurre al minimo il numero di lavoratori del settore esuberanti per effetto del taglio del finanziamento praticato, per il secondo anno consecutivo, dal Governo del presidente Rosario Crocetta?

Chiarimenti che tardano ad arrivare e che amplificano il malumore o lo sconforto nel marasma generale della formazione professionale, mentre taluni enti formativi, in fretta e furia, hanno già preparato la ‘trappola’ per i lavoratori.

Insomma, cosa bolle in pentola veramente? Gli operatori in queste ore se lo chiedono con insistenza. Ed hanno ragione, perché il rischio è che questa volta la stampella in soccorso dell’assessore Nelli Scilabra l’abbiano messa le associazioni degli enti formativi con il contributo ‘forzoso’ dei lavoratori che perderebbero una parte della retribuzione in un momento in cui, mediamente, di retribuzioni ne hanno già perdute 12 con un massimo di 24.

Si tratta delle ‘famose’ spettanze maturate e mai riconosciute dal Governo regionale. In questa triste storia si registra il penoso balletto di responsabilità tra l’Amministrazione regionale e gli enti formativi sulla chiusura delle rendicontazioni. Aspetto, questo, che il ‘presidente-sceriffo’ della Regione siciliana non ha mai preso di petto. Ci sarebbe da capire che interessi si annidano dietro il riconoscimento di spese effettuate per corsi conclusi anche 10 anni fa. Capitolo che da solo necessiterebbe di un meritato approfondimento.

Torniamo al contratto di solidarietà difensivo. Nei prossimi giorni inizieranno gli incontri tra enti formativi e sindacati per definire un possibile accordo teso all’applicazione del contratto di solidarietà difensiva che, però, non si applicherebbe ai dirigenti.

Questo, allora potrebbe significare che nella formazione professionale lo strumento normativo e contrattuale si applicherebbe a tutti i lavoratori ad eccezione dei tanti presidenti di enti formativi che risultano dipendenti-dirigenti. Saremmo, quindi, di fronte all’ennesima furbata prodotta a danno dei lavoratori?

Vantaggio non da poco conto al quale si aggiungerebbe anche la riduzione del costo lavoro per via della riduzione dei contributi da versare all’Inps. Non solo. Gli enti formativi potranno effettuare licenziamenti individuali e demansionare il lavoratore.

Ed allora è lecito chiedersi: a chi giova l’applicazione nel settore della formazione professionale del contratto di solidarietà difensiva?

Un coro unanime sembra alzarsi dagli ambienti delle associazioni datoriali di settore: “I lavoratori mantengono il posto di lavoro e non vengono licenziati”. Già, questo può essere anche vero, se non vi fosse un sistema normativo regionale ed un regime contrattuale di settore che non prevedono il licenziamento del lavoratore, ma la mobilità interna al sistema formativo regionale per la successiva ricollocazione, attraverso l’accesso al Fondo di garanzia.

Paradossalmente, in questa maniera, con l’applicazione del contratto di solidarietà difensiva viene aggirata la tanto contestata, ma vigente, legge regionale n.10 del 7 giugno 2011 che prevede l’accesso agli ammortizzatori sociali e con complementarietà il Fondo di garanzia disciplinato dall’articolo 132 della legge regionale 16 aprile 2003, n.4. E siccome troppo spesso ci si dimentica della disposizione contenuta nel citato articolo 132, è il caso di richiamarlo di seguito.

“È costituto un Fondo di garanzia del personale dipendente del settore della Formazione professionale iscritto all’albo previsto dall’articolo 14 della legge regionale 6 marzo 1976, n.24, già posto in mobilità e quello risultante in esubero rispetto alla programmazione del piano regionale dell’offerta formativa finalizzato ad una politica di sostegno al reddito. I benefici non possono superare la durata di 60 mesi. Durante tale periodo l’assessorato regionale alla Formazione professionale è autorizzato a prevedere nel piano dell’offerta formativa appositi interventi di aggiornamento, di qualificazione, di riqualificazione e di riconversione dei soggetti medesimi, nonché l’inserimento negli sportelli multifunzionali se necessario”.

Come si vede il Legislatore siciliano, oltre dieci anni fa, ha previsto un sistema di tutele per il personale dipendente degli enti formativi ed iscritto all’Albo per un periodo nettamente superiore a quello di 24 mesi previsto dal Contratto di solidarietà difensiva.

E poi concetti come aggiornamento, qualificazione, riqualificazione o riconversione del personale della formazione professionale sono distanti anni luce rispetto ad un Governo regionale che non ha neanche la sensibilità di prodigarsi per ristrutturare i Servizi per il Lavoro. Questi sono i risultati, un settore allo sfascio dove disapplicare le norme è diventata normalità.

Nota a margine

E’ peregrino affermare che i vantaggi del Contratto di solidarietà difensiva al settore ricadrebbero solamente su enti formativi e avvantaggerebbero l’assessore Scilabra nel tentativo di riconquistarsi un minimo di credibilità istituzionale per contrastare la mozione di censura che, nonostante i proclami di azzeramento di Giunta del presidente Crocetta, resta in piedi?

Se i lavoratori non possono essere normativamente licenziati, ma gli enti formativi col consenso dei sindacati, lo hanno già ripetutamente fatto, il tema necessariamente deve spostarsi su un altro campo. Il Governo regionale del rivoluzionario Rosario Crocetta ha deciso di licenziare 5000 operatori del settore chiedendo aiuto agli enti formativi?

Se questa è la strada percorsa che lo si dica, il Governatore è maestro di conferenze stampa, ed allora convochi la stampa ed annunci che il sistema formativo regionale è stato ridimensionato a 3000 unità e una centinaio di enti formativi. Lo dica e faccia finalmente un’operazione trasparenza.

Gli enti formativi durante il periodo di vigenza del contratto di solidarietà difensiva sono legittimati al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo.

A chiarire questo punto è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza n. 29306 del 15 dicembre 2008, preservando la libertà del datore di poter irrogare legittimamente il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ma precludendo, durante la vigenza dell’Accordo a tutela dell’occupazione, il ricorso a licenziamenti plurimi e/o collettivi.

Per le stesse argomentazioni l’orientamento giurisprudenziale è quello di ritenere che in virtù dell’applicazione dei contratti di solidarietà i datori di lavoro siano legittimati a derogare all’articolo 2103 del Codice civile adibendo i lavoratori a mansioni inferiori, in quanto tale riorganizzazione è, appunto, diretta al riassorbimento.

Per completezza s’informazione richiamiamo il principio contenuto nel citato articolo 2103: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione”.

Con la legge 236/93, art. 5, commi 5 e 8, è stato esteso l’istituto dei contratto di solidarietà anche alle aziende non rientranti nel campo di applicazione della normativa in materia di Cassa Integrazione.

La legge prevede per il lavoratore, al quale viene ridotto l’orario di lavoro, un contributo pari al 25% della retribuzione persa. Il contributo è corrisposto in uguale misura anche all’azienda.

Il contratto di solidarietà non può superare i 24 mesi.

Ed ancora, il contributo erogato ai lavoratori non ha natura di retribuzione ai fini degli istituti contrattuali e di legge, né vengono versati, per le ore interessate alla riduzione, i contributi assistenziali e previdenziali. Ai soli fini pensionistici si terrà conto, per il periodo della riduzione, dell’intera retribuzione di riferimento.

Giuseppe Messina

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