L’udienza di ieri del processo per disastro ambientale e gestione di discarica non autorizzata all’interno dell’ex facoltà di Farmacia è iniziata con la notizia del trasferimento del pm Lucio Setola a Potenza e il suo passaggio al ruolo giudicante. Presenza garantita fino al termine dell’estate, ma difficilmente si potrà andare oltre. Per questo motivo il magistrato ha chiesto al presidente del collegio Ignazia Barbarino l’intensificazione delle udienze. Richiesta difficilmente accoglibile, tanto da far avanzare alla presidente l’ipotesi di chiedere alla procura un ritardo dell’insediamento o almeno l’affiancamento di un altro pubblico ministero che possa seguire colui che ha curato il caso fin dalle sue primissime fasi. «Più di questo non possiamo fare», spiega Barbarino.
Il programma si svolge, come previsto, con il controesame di Silvia Bonapersona, consulente del pm. L’attenzione degli avvocati delle difese concentra su alcuni dettagli. Prima di tutto sulla mancanza di analisi che confermino la contaminazione dell’aria. «Posso ipotizzare che ci fossero sostanze non note», ribatte l’ingegnere riferendosi ad altre molecole non inserite tra quelle da ricercare e che magari in quel dato momento potevano essere presenti nell’ambiente. «C’era qualcosa disperso in aria». Qualcosa, però, di non identificato. I periti al momento delle indagini, spiega Bonapersona, hanno raccolto dei campioni e sulla base di quelli hanno stabilito la mancanza di contaminazione. Cosa diversa è realizzare un piano di caratterizzazione, una procedura più complessa che vede coinvolti diversi tecnici e le autorità competenti. La discussione, poi, sposta sul grado di pericolosità del mercurio, elemento ritrovato nelle indagini dalla consulente e dai suoi collaboratori. Se per alcune tabelle legislative la sostanza non è considerata cancerogena, di diverso avviso sono quelle del ministero della Salute consultate da Silvia Bonapersona. L’ultima domanda del controesame giunge da Guido Ziccone, legale dell’Ateneo che nel processo è allo stesso tempo responsabile civile e parte offesa, e riguarda la possibilità di ritrovare segni dell’ipotetica contaminazione anche oggi. «Sarebbe ancora possibile trovare traccia della contaminazione pregressa», risponde il tecnico. E porta come esempio l’analisi delle saie, i vecchi sistemi di conduzione dei reflui ancora presenti ma non più funzionanti dopo l’implementazione del nuovo impianto fognario.
L’esame finale del pm serve a tirare le fila di quanto esposto da Silvia Bonapersona. Secondo l’ingegnere – che ha acquisito tutta la documentazione tecnica e le comunicazioni interne del dipartimento – già dai primi rilievi effettuati dal Nucleo chimico mediterraneo di Bruno Catara si avanzano le prime ipotesi di contaminazione. Nulla di allarmante, tuttavia si riteneva già nel 2004 «indispensabile» fare interventi su cappe, sifoni, sistemi di areazione. E procedere immediatamente, perché «indifferibili». Un anno dopo, nel 2005, i rilievi della It group si concludono con una richiesta di un piano di monitoraggio. Ma, come emerge dai carteggi, è una situazione registrata già dal 2000.
A rispondere alle numerose questioni lasciate aperte viene quindi chiamato uno degli imputati, Fulvio La Pergola. Responsabile del servizio prevenzione e protezione dai rischi dell’Università, ha ricoperto l’incarico dal 1999 al gennaio del 2009. Il suo è un esame complesso, vista la posizione ricoperta e le responsabilità all’interno del procedimento; le difficoltà cominciano già al momento di chiarire quali fossero le ipotesi avanzate quale causa di malesseri e cattivi odori. Alla fine si giunge a individuarne due: inadeguatezza strutturale e sversamento di sostanze nei lavandini dei piani superiori. Un’abitudine che – sostiene La Pergola – poteva verificarsi negli anni ’90, ma che si ripete con sicurezza almeno in un’altra occasione. Quando uno dei tecnici di laboratorio, Antonino Palmeri, viene investito da una zaffata di acidi non identificati scaricati in un lavandino mentre sono in corso delle indagini sul sistema fognario e quindi alcuni dei pozzetti di ispezione sono aperti.
Lo sversamento viene denunciato anche in una lettera da uno dei docenti, Giovanni Puglisi, e iniziano dunque i richiami a seguire le norme di smaltimento e le richieste di elencare tutte le sostanze impiegate nel dipartimento. Inoltre si intensifica l’attività di indagine per scoprire la causa di malesseri e odori da trovare «in qualunque maniera», dichiara Fulvio La Pergola. «Era un problema da risolvere immediatamente», eppure il tempo scorre e – complice la mancanza di un obbligo specifico – non viene avvisata nessuna autorità di quanto accade nei locali dell’edificio 2 della Cittadella.
Nel settembre 2003 viene stilata l’analisi del rischio chimico, ma i medici che compilano il documento non fanno cenno alla situazione particolare. Però – pur classificando il rischio come moderato – il personale viene sottoposto costantemente a visite mediche, anche se la norma non lo prevede. Segno che, come sostiene l’ex responsabile, l’attenzione resta alta. Quasi un anno dopo, nel giugno del 2004, Bruno Catara rilascia il documento che chiude la consulenza a lui richiesta dai vertici della facoltà. Come detto anche da Silvia Bonaventura, la relazione finale segue due strade che non sembrano convergere. Non viene rilevato un rischio, ma si consigliano alcuni interventi da fare urgentemente: sostituzione delle cappe, controllo dei sifoni, verifica del sistema di aspirazione, installazione di ventilatori a estrazione. «Anche se non c’era nulla, bisognava fare qualcosa. Così l’ho interpretata», spiega La Pergola. Eppure, tra le misure consigliate ce n’è una – la sostituzione dei sifoni – che avrebbe dovuto già essere stata eseguita nel 2001.
Per maggiore sicurezza, viene effettuata una mappatura dell’impianto fognario orizzontale. Un impianto che presenta segni inequivocabili di erosione, come dimostrato dai tecnici della It group che realizzano un reportage fotografico. «Tutti facevano foto», commenta l’imputato. «E l’unico al quale non ne hanno fornito è il responsabile della sicurezza?», ribatte il pm Setola. La ditta lombarda viene convocata quasi d’urgenza dopo il quinto intervento del locale Nucleo chimico mediterraneo. «Non ci si accontentava». Non erano più sufficienti «le semplici analisi di Catara», sostiene La Pergola, il cui esame – non ancora concluso – continuerà nel corso della prossima udienza prevista per il 22 marzo. Dell’altro imputato convocato per ieri, Franco Vittorio, è stato invece acquisito il verbale di interrogatorio del 10 marzo 2008.
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