Farmacia, avanti il processo per disastro «Avevamo paura, ci rifiutavamo di entrare»

Procede a ritmi più serrati il processo per disastro ambientale e gestione di discarica non autorizzata all’interno dell’ex facoltà di Farmacia di Catania. Per molti teste del pubblico ministero Lucio Setola sono stati acquisiti direttamente i verbali di sommarie informazioni, resi prima dell’apertura del procedimento. Confermato anche il calendario con due udienze al mese presiedute dal presidente Ignazia Barbarino ed è stato quindi scongiurato un rallentamento per via del cambio di sezione del presidente.

Durante l’ultima udienza prima della pausa natalizia è stato sentito Fabio Leone, dipendente dell’Università che ha partecipato ai lavori effettuati tra il 2006 e il 2007 nel plesso. Gli operai, ha raccontato Leone, erano «fortemente impressionati dagli odori. Avevamo paura, ci siamo più volte rifiutati di entrare». E poi, come alcuni colleghi hanno raccontato al dipendente, c’erano gli accumuli di liquami maleodoranti venuti fuori dopo uno sbancamento e ricoperti con del cemento. Anche se, confessa l’uomo che per un periodo si è occupato anche dello stockaggio e smaltimento di rifiuti speciali, non ha potuto né saputo appurare se si trattasse di materiale inquinante.

Manuela Liotta, ex studentessa ed ex ricercatrice che ha frequentato i laboratori dal 1997 al 2006, ha raccontato di un episodio specifico. Nel 2006 gli studenti e il personale furono mandati via dai laboratori per l’insistente tanfo che aveva invaso i corridoi. «Ci siamo allarmati», ha spiegato. Da qui la decisione di chiamare Francesco Bonina, docente membro della commissione sicurezza e imputato nel procedimento. Il docente, descritto come agitato, «per il sì e per il no ci mandò a casa», ha affermato Liotta. Sulla consuetudine di sversare sostanze nei lavandini, però, afferma di aver visto sempre utilizzare i contenitori adatti.

Completamente opposta la versione di un’altra ex studentessa della facoltà, Carla Gennaro. Figlia di Giovanni, farmacista e funzionario tecnico di laboratorio morto per un tumore, la donna si è costituita assieme alla madre parte civile nel procedimento in corso. I reflui, ha raccontato, venivano regolarmente buttati nei lavandini. I contenitori per lo sversamento furono introdotti solo dopo l’intervento di un altro docente e imputato, Franco Vittorio. «Non eravamo abituati – ha spiegato – Lo smaltimento di tutte le sostanze veniva fatto nei lavandini». La donna ha poi descritto le mansioni del padre – tra le quali la preparazione di soluzioni acide e basiche che venivano poi smaltite negli scarichi della vicina officina – e ha riferito alcuni suoi racconti. Come quello dello smaltimento fatto da alcuni funzionari per conto del professore Bonina che – secondo il racconto di Giovanni Gennaro – avrebbero sotterrato delle sostanze nei terreni adiacenti l’edificio 2 ed esplose a contatto con l’acqua, dopo l’innaffiatura.

Nell’ultimo periodo il tecnico fu trasferito nei sotterranei, in una sala dove si trovava anche un macchinario per la risonanza magnetica. Un ambiente non ritenuto salubre da Giovanni Gennaro, tanto da impedire alla figlia di trattenersi con lui dentro la stanza. E poi gli odori sgradevoli e la sensazione di bruciore alle mucose di labbra e naso, gli abiti che puzzavano. Ma di quanto raccontato da Gennaro non c’è traccia nei verbali o nei documenti dell’Università perché non ci fu mai una segnalazione ufficiale.

Carmen Valisano

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