Sicuramente non sono opera dei faraoni dell’antico Egitto, ma in buona parte del versante centro-orientale della Sicilia, da Piedimonte Etneo, passando per Linguaglossa, Randazzo, Bronte fino ad Adrano, si possono scorgere costruzioni molto simili alle piramidi. Strutture coniche, con spigoli arrotondati, a gradoni, con una base rettangolare o quadrata e altari sulla sommità e, in alcuni casi, delle rampe d’accesso ancora ben visibili. Edificate con la nera pietra lavica, che si mimetizzano con il colore scuro del terreno, nascoste tra filari di vigne o alberi da frutta, che, però, non sono passate inosservate agli occhi degli studiosi del Ludum, il museo della scienza di Catania, che hanno deciso di avviare il primo censimento. «In passato non è mai stato fatto uno studio scientifico e sistematico di queste strutture – spiega Daniele Abate, direttore scientifico del museo -. Le piramidi, nel corso degli anni, sono diventati oggetti di abbellimento dei terreni agricoli o comunque hanno subito modifiche notevoli per la ritrosia dei proprietari dei terreni che temono vincoli di legge qualora queste costruzioni dovessero essere riconosciute monumenti. Sono strutture che secondo alcuni hanno più di tremila anni e che meritano di essere studiate».
Conosciute come turrette, o turrizzi dell’Etna, secondo alcune teorie potrebbero essere state edificate da una tribù originaria della Sicilia orientale, chiamata Shekelesh, vissuta mille anni prima di Cristo, o dai Siculi, nel III secolo avanti Cristo, popolo indigeno della Sicilia orientale, che avrebbe edificato le piramidi come luogo sacro dedicato alle divinità. Incertezze, quelle sull’origine e sulla funzione di queste strutture, che hanno scatenato anche teorie esoteriche, designando queste strutture, posizionate da una civiltà superiore, come argine per contenere le colate laviche. La versione maggiormente accreditata indica, invece, le piramidi come il risultato di un lavoro di spietramento. Montagne di pietra che non potevano essere lasciate alla rinfusa sul terreno ma che dovevano essere ben sistemate per evitare che crollassero su se stesse. «I contadini disponevano sul terreno un basamento formato da grandi pietre di diverse forme geometriche – prosegue Abate –. Poi sopra ne ponevano uno più piccolo e poi uno ancora più piccolo, fino a realizzare una forma piramidale che è la struttura in assoluto più semplice da creare e la più resistente agli agenti atmosferici. Da pietre di risulta sul terreno sono diventati luoghi di osservazione, torri di avvistamento o luoghi di culto. In tempi più recenti anche basamenti per case o depositi».
Costruzioni piramidali dall’antico significato simbolico si ritrovano in ogni angolo della Terra, da Sebastopoli, città fortificata della Crimea in Ucraina fino alle sorgenti del Kephalari in Grecia. Dalla Cina, dove ebbero anche funzione di sepolcro, fino alle piramidi presenti in Campania, nelle zone tra Caserta e Benevento. Ci sono poi le sei strutture di origine vulcanica presenti a Güímar, sulla costa orientale dell’isola di Tenerife, e le sette piramidi a gradoni, erette utilizzando pietre per la maggior parte di origine vulcanica, nella piana di Plaine Magnien, nelle Mauritius, che al massimo raggiungono i dodici metri di altezza. «Tra le trenta piramidi che abbiamo visto nelle nostre zone – aggiunge Abate – la più grande, che si trova vicino Piedimonte Etneo, ha una lunghezza di 25 metri e un’altezza di 15 metri. Nel caso di grandi edificazioni, si riuscivano a realizzare anche dei vani per mettere al riparo gli attrezzi da lavoro. Invece le più piccole non superano i sei metri di larghezza e tre di altezza».
«Quel che è certo – aggiunge il direttore – è che le turrette dell’Etna, indipendentemente dalla loro origine, rappresentano non solo uno straordinario esempio dal punto di vista ingegneristico, ma anche un patrimonio suggestivo da catalogare, manutenere e conservare, seguendo l’esempio del Parco etnologico a Güímar». Un appello rivolto, anche attraverso i social media, a tutti affinché gli avvistatori di piramidi possano fornire informazioni utili per realizzarne il primo censimento. «Salviamo queste strutture prima che sia troppo tardi – ribadisce Abate -. C’è il rischio che la speculazione e i piani regolatori li cancellino dalla storia. Noi di Ludum, per raccogliere dati, segnalazioni e avvistamenti, abbiamo predisposto una pagina Facebook e sul nostro sito sarà possibile visualizzare una mappa interattiva. Senza un’adeguata tutela e una precisa mappatura diventa impossibile salvaguardarle».
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