«Non accetto la maglietta di nessuna squadra. In questo momento, l’università di Catania ha voglia di normalizzarsi. Mi rendo conto che le semplificazioni servano ai giornali, ma non mi piacciono le etichette di “vicino a”, “amico di”, “in continuità con”…». Secondo i più, e salvo colpi di scena, se c’è qualcuno che può contendere a Francesco Priolo lo scettro di prossimo rettore di UniCt, questi è Roberto Purrello, direttore del dipartimento di Chimica, il primo a scendere in campo. E poi, dopo che Priolo lo ha seguito, diventato il più accreditato sfidante del professore che, come lui, è stato presidente della Scuola superiore di Catania. E ancora, come lui, è considerato vicino all’ex rettore Francesco Basile. «Non ci sono schieramenti di bandiera – dice Purrello a MeridioNews – Io mi candido perché ho ricevuto tantissime pressioni dai colleghi che nutrono stima nei miei confronti e riconoscono la mia carriera universitaria».
Professore Purrello, secondo lei è vero che il prof. Priolo è il favorito?
«In questo momento ritengo sia molto difficile dire chi è in testa. È vero che il professore Priolo e io veniamo ritenuti i più quotati, ma è anche vero che sono state espresse solo candidature forti. I dibattiti sono stati molto equilibrati, non è emersa nessuna star. È una partita difficile».
E lei perché ha scelto di giocarla?
«Sono stato per diversi anni all’estero, negli Stati Uniti. Poi sono tornato e ho dedicato gli ultimi anni a questo sistema universitario. Sono stato al Cun (Consiglio universitario nazionale), dove vengono rappresentate tutte le aree disciplinari. Mi sono occupato della futura riforma dell’ingresso in ruolo dei professori universitari…».
Tema caldissimo, visto che è al centro dell’inchiesta Università bandita della procura di Catania. Lei come la vede?
«È un tema molto complesso e per risolverlo bisogna eliminare il precariato. Il percorso per arrivare al concorso da docente in un ateneo è tortuoso e lì, spesso, si annidano le distorsioni. La legge Gelmini, poi, ha delle storture evidenti dal punto di vista della ripartizione dei fondi. Le università del Meridione vengono trattate malissimo sotto questo profilo».
E la soluzione quale sarebbe?
«Negli Stati Uniti l’ingresso nelle università è fatto con la cooptazione diretta. Qui, invece, il posto da docente universitario viene trattato come un qualunque impiego pubblico e sottoposto a concorso. Io penso che non sia il massimo. Le faccio un esempio pratico: ogni dipartimento ha le sue linee direttive di ricerca. Se il mio dipartimento ha una specializzazione incredibile in Chimica della Luna, non posso chiamare direttamente un ricercatore bravissimo in Chimica della Luna. Devo fare un concorso. E magari si presenta un bravissimo giovane o una bravissima giovane, con un sacco di titoli e di pubblicazioni, che però vertono tutti sulla Chimica di Marte. È chiaro che vincerà chi è esperto di Marte, perché magari ha più titoli, pubblicazioni su riviste più accreditate e ha ottenuto più risultati. Ma il mio dipartimento sempre la Luna studia, e non Marte. Il risultato del concorso pubblico sarà il seguente: il dipartimento non progredirà nell’ambito degli studi lunari, il nuovo professore non avrà macchinari adatti e colleghi competenti per mandare avanti la sua professionalità negli studi su Marte. Ci perdono tutti».
Ma magari con un concorso pubblico arriva anche un bravissimo giovane con tanti titoli e pubblicazioni, esperto in Chimica della Luna, che lei magari non conosceva.
«Negli Stati Uniti si fa una cosa che si chiama “call of interest” aperta a tutti gli esperti del settore o dell’argomento di riferimento. Dopo quella si fanno delle interview ai candidati e si sceglie. È facile. Bisogna scorporare i concorsi universitari da quelli del pubblico impiego e pensare a una normativa ad hoc».
Professore, quello che lei descrive sembra un po’ «il mulino che vorrei», come nella pubblicità. Con una selezione di questo tipo, chi li ferma più ad amici e parenti?
«Il ministro Bussetti ha detto che un campione del dieci per cento di tutti i concorsi banditi dagli atenei verranno controllati dall’Anvur, l’Agenzia per la valutazione. Se i concorsi vengono ritenuti irregolari, i rettori li devono riaprire. Sia con la chiamata diretta sia con il concorso, deve vincere il migliore e questo deve essere chiaro. Così come deve essere chiaro che i direttori di dipartimento e i rettori devono tenersi fuori da questo processo. Io penso, però, che la chiamata diretta imponga una trasparenza totale di qualunque procedura e che renda le storture più facilmente individuabili e correggibili. L’Anvur, se fa i controlli ex post, può essere utilissima».
Di questi tempi, proporre la chiamata diretta è quantomeno impopolare.
«Le rispondo in dialetto: mali non fari, paura n’aviri. L’università deve ripartire e i cognomi sono irrilevanti. Le uniche cose che rilevano sono i curricula e i percorsi».
Cosa pensa delle accuse a carico dei suoi colleghi e di due ex rettori?
«Mi auguro che le ipotesi di reato si rivelino infondate e che tutti tornino al loro posto. Ma se mai saranno trovati alcuni colpevoli, penso che l’università tutta debba dissociarsene fermamente».
Quale sarà il suo primo atto, se sarà eletto Magnifico?
«Non ci sarà un primo atto, ci saranno un insieme di atti che mireranno a fare marciare tutti nella stessa direzione. La politica d’ateneo deve essere unitaria e le varie aree devono parlarsi: la gamba destra deve sapere quello che fa la sinistra. Si deve costruire una vera e propria squadra di governo».
Si è già fatto un’idea di chi potrà comporla?
«Virennu facennu. Ancora non so. Potrei avere una squadra mista pro-rettori e delegati».
Questione statuto. Va cambiato?
«Alcune cose sì, sempre in direzione di più trasparenza. I nomi dei candidati a fare parte delle commissioni devono essere estratti a sorte da un elenco nazionale, e poi si deve procedere a una seconda estrazione per la selezione dei componenti. C’è inoltre il capitolo che riguarda le nomine al consiglio di amministrazione: devono passare da processi elettivi e non propositivi».
Il 23 vi sfiderete in cinque. Francesco Priolo, Agatino Cariola, Vittorio Calabrese, Salvatore Barbagallo e lei. Se dalle prime votazioni lei risultasse indietro, si ritirerebbe?
«Ho l’impressione che il 23 agosto il numero di votanti non sarà significativo. Al secondo turno, invece, potrei anche pensarci. Ma è una questione politica, e come tutte le questioni politiche può cambiare da un momento all’altro. Guardi la Lega e il Movimento 5 stelle… Insomma, meglio non fare previsioni».
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