LONDRA – E’ morto Syd Barrett, co-fondatore dei Pink Floyd e figura di spicco del progressive rock inglese a cavallo fra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70. L’artista, 60 anni, è deceduto due giorni fa, ma la notizia è stata data soltanto oggi da un portavoce della sua vecchia band. I funerali si svolgeranno in forma privata.
Il cantante e chitarrista negli ultimi 30 ha vissuto lontano dalle scene, in una casa alla periferia di Cambridge, in Inghilterra. Si sa che soffriva di diabete, ma le cause della morte non sono state rese note.
Nato a Cambridge nel 1946, Barrett fondò i Pink Floyd nel 1965. Lasciò la band tre anni dopo, quando la collaborazione con gli altri divenne difficile anche a causa dell’abuso di droga. Dopo essere uscito dal gruppo, Barrett ha registrato degli album come solista, mantenendo sempre rapporti artistici con i suoi ex compagni David Gilmour e Roger Waters.
Furono gli altri della band a imporre a Roger Keith (questi i veri nomi di ‘Syd’) di lasciare il gruppo quando la sua vena creativa era sempre più spesso offuscata dai disturbi mentali e dall’uso di allucinogeni, soprattutto Lsd. Di fatto, a 21 anni, Syd ha già perso il contatto con la realtà e nei concerti smette di cantare improvvisamente, o canta la stessa nota per lunghi minuti. Dopo il primo disco (The piper at the gates of dawn), in A Saucerful of Secrets del 1968, Barrett firma un’unica canzone, “Jugband blues”, che dà l’aria dell’imminente addio.
I Pink Floyd cercano di salvare la vena compositrice di Barrett, tentando di ritagliargli un ruolo puramente di scrittura, senza oneri sul palco. Ma il tentativo fallisce. Come solista Barrett incise nel ’70 The Madcap Laughs (Il pazzo ride) e Barrett, realizzati grazie all’aiuto soprattutto di David Gilmoure.
Alla fine del ’72 fu ricoverato per la prima volta in una clinica psichiatrica, esperienza che negli anni successivi si ripetè più volte. Su di lui calò il sipario, al punto che in certi momenti fu addirittura dato per morto, nonostante la sua influenza continuasse a riflettersi su intere generazioni di rockers, esordienti o meno. Nel ’75 il commosso omaggio dei Pink Floyd con ‘Shine On You Crazy Diamond’, cioè ‘Splendi, folle diamante’; una dedica commossa che si rifletteva anche nel titolo dell’intero disco, ‘Wish You Were Here’, cioè “Vorremmo che fossi qui”.
Barrett andò nello studio di registrazione per ascoltare in anteprima il brano, nel 1975: era già trasfigurato rispetto a quel che ricordavano i compagni, grasso calvo, un po’ svagato. Il suo commento “mi sembra un po’ datato, che dite?” rivolto ai compagni con un sorriso rivela però che la sua originalità musicale non era spenta.
Dopo diversi anni di ricovero ospedaliero e di reclusione casalinga (affidato alle cure della madre), nel 1977 Barrett comparve per un attimo, grasso e calvo, nello studio di registrazione dei Pink Floyd e nel 1982 rilasciò la sua prima intervista dopo dodici anni.
Nonostante la sua vita tormentata e il suo precoce ritiro, Barrett è considerato da molti uno dei creativi più geniali della storia della musica rock e uno dei suoi miti più grandi. Syd Barrett fu l’anima eccentrica e idealista dei Pink Floyd, ma la sua personalità di sognatore e il suo indulgere nelle droghe lo portarono a diventare un vero fardello nel gruppo, dopo esserne stato l’ispiratore maggiore.
Le innovazioni musicali che Barrett introdusse in The piper at the gates of dawn, album di esordio del gruppo, sono tra i capisaldi della psichedelia e hanno esercitato un’influenza enorme sui musicisti di tutto il mondo. E anche sugli stessi Pink Floyd, che nel 2005, durante la storica riunione sul palco del Live8, non hanno mancato di nominare Barrett: “Noi – disse Waters prima di suonare “Wish you were here” – stiamo facendo ciò per tutti coloro che non sono qua, ma in particolare per Syd”.
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