Un agente di polizia penitenziaria e un infermiere dell’Asp di Messina sarebbero diventati i pony express di sostanze stupefacenti e cellulari all’interno della casa circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto. Entrambi sono finiti ai domiciliari nell’ambito delle inchieste che hanno portato alla maxi-operazione antidroga di ieri con 112 arresti. Il poliziotto Francesco La Malfa, detto Majimbù – un soprannome preso in prestito probabilmente da Majin Bu, uno degli antagonisti principali del manga giapponese Dragon Ball – e l’infermiere Enrico Pagano, secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, avrebbero reso meno invalicabili i confini del carcere.
«Dal momento dell’arresto di Maurizio Iannello (nel febbraio del 2020, ndr), si è subito sparsa la voce che in sezione era lui a comandare». Non solo sugli altri detenuti. Almeno stando alle dichiarazioni rese da due collaboratori di giustizia, fratelli tra loro, che si trovavano rinchiusi nello stesso carcere. A «rispondere alle direttive della famiglia Iannello», infatti, sarebbero stati anche i due professionisti. Così, anche con la collaborazione di alcuni compagni di cella, Maurizio Iannello (anche lui tra gli arrestati di ieri) avrebbe gestito una «fiorente attività di spaccio all’interno della casa circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto». Un’attività in cui avrebbe coinvolto anche i familiari liberi, fino a ieri: il padre Filippo e i fratelli Giuseppe, detto Il pipistrello, e Salvatore, detto Il coccio. Ai parenti, dall’interno della sua cella avrebbe dato indicazioni utilizzando uno smartphone.
Stando a quanto raccontato da un collaboratore, sarebbe stato Iannello senior a consegnare la droga all’agente di polizia penitenziaria fuori dal carcere e a ricevere da parte dei parenti dei detenuti i pagamenti delle dosi delle sostanze stupefacenti. Prezzi, quelli dentro il carcere, che sarebbero stati fuori dal mercato: 30 euro al grammo per hashish e marijuana e 150 euro al grammo per la cocaina. In totale, ogni settimana, avrebbero varcato le mura della casa circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto 300 grammi di marijuana e hashish e circa 30 grammi di cocaina. Che sarebbero entrati nascosti dentro pacchetti di sigaretti ben sigillati. Un metodo meno invasivo di quello a cui i detenuti avevano dovuto fare ricorso prima del coinvolgimento dei due professionisti.
«Te la metti in bocca un pezzo», avrebbe suggerito (per usare un eufemismo) un detenuto alla sorella nel corso di una conversazione telefonica per accordarsi su come ricevere la droga in carcere durante un incontro familiare. La donna non sembra convinta della missione da compiere e nemmeno delle modalità, ma il fratello prova a convincerla. «Altrimenti non ne faccio colloquio […] Vedi che botte vi do. Cinque (grammi, ndr) perché ti scanno al colloquio». Minacce, nemmeno troppo velate, che indirizza alla sorella mentre, dall’interno della sua cella, al telefono le fa da navigatore per raggiungere il posto (casa dei Iannello) dove andare a prendere la sostanza stupefacente. «Tu sei scaltra […] Devi stare attenta. Devi vedere se puoi parlare». E, per fare in modo che ci riesca, la dose di droga viene modellata e schiacciata. Stratagemmi ragionati anche perché la posta in gioco è alta: rivendere ad altri detenuti a 100 euro al grammo una sostanza che, fuori dal carcere, ne costa appena quattro. «Mi viene l’ansia – lamenta la donna – Questa è l’ultima volta». Ma, probabilmente, non era la prima. E non è nemmeno la modalità di consegna peggiore possibile. Visto che qualcuno avrebbe utilizzato anche altri parti del corpo, per esempio l’ano.
Tecniche superate da quando di introdurre droga e cellulari (non micro, ma di grosse dimensioni con tanto di auricolari wi-fi e custodie per ricaricarli) in carcere, si sarebbero occupati il poliziotto e l’infermiere. «Se lo porta addosso (ciò che deve consegnare, ndr), chiama l’interessato in ambulatorio per terapie o farmaci e glielo consegna». È ancora un collaboratore di giustizia a raccontare di questo semplice escamotage che sarebbe stato considerato efficiente e sicuro: in infermeria, infatti, non sempre i detenuti vengono accompagnati da agenti e non ci sono telecamere. Quelle che, invece, hanno ripreso un comportamento anomalo di Pagano: finito il turno notturno, l’infermiere sarebbe tornato indietro con una busta bianca. Dopo pochi minuti, sarebbe uscito dal carcere a mani vuote. Così come l’agente La Malfa che, in passato, era già stato coinvolto in due vicende giudiziarie: la prima, che risale al 1995, lo ha visto imputato insieme a esponenti di spicco della criminalità organizzata barcellonese per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Più di recente, nel 2010, il poliziotto penitenziario era stato denunciato per avere consegnato a un detenuto un attrezzo per segare le sbarre delle inferriate del carcere.
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