Disabilità, per chi (non) suona la campanella In Sicilia gli studenti ancora fuori dalle scuole

La protesta di Antonio Costanza è arrivata al sesto giorno. Tanto il tempo da cui il vicepresidente regionale dell’Anffas (l’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) non tocca cibo. Uno sciopero della fame reso necessario dal momento in cui, giunti alla terza settimana di apertura delle scuole, gli studenti disabili delle superiori siciliane non sono ancora entrati in classe. Le ragioni sono note: il ritardo nella programmazione degli interventi di assistenza scolastica ai ragazzi, i fondi che mancano, la solita solfa delle competenze suddivise tra Regione ed ex Province. Il dato di fatto è che i ragazzi non sono ancora entrati a scuola. E chi lo ha fatto lo deve esclusivamente alle famiglie, in termini economici ma non solo.

La sensazione, il retrogusto amaro di una vicenda a cui in Sicilia si assiste da anni, è quella di un ulteriore rischio di discriminazione per questi adolescenti che partono già con qualche difficoltà in più nell’inserimento all’interno del gruppo classe. Se a questo si aggiunge un ingresso a scuola posticipato alle volte anche di un mese, è ancora più complicato immaginare come i giovani studenti possano integrarsi in quella piccola comunità che è la classe, ma anche l’intero corpo studenti di un istituto superiore.

«Paradossalmente in questo modo si sottolinea ancora di più un’emarginazione nell’emarginazione – dice Pia Blandano, dirigente scolastica del Regina Margherita di Palermo -. Perché ci sono quei genitori che a fatica portano comunque i loro figli a scuola. E poi ci sono quelli che non hanno la possibilità di pagare qualcuno per portarli a scuola, per cui questi ragazzi si trovano ad essere ancora più emarginati degli altri. In questo momento io mi ritrovo nel mio istituto ad avere tutti gli insegnanti di sostegno in classe, ma non tutti i ragazzi diversamente abili. Ci sono mamme che si sono messe in ferie per poter accompagnare i loro figli a scuola, genitori che cambiano turni al lavoro in continuazione, o che pagano qualcuno per accompagnarli. E altri che, semplicemente, non se lo possono permettere».

E se la prospettiva della scuola è quella di provare ad attutire le situazioni disagio, come è cambiato invece il punto di vista degli studenti rispetto alla disabilità? «Laddove la diversa abilità tocca la sfera comunicativa, è già molto complicato parlare di una vera e propria integrazione. Io l’ho vissuto personalmente, della mia classe faceva parte una ragazza con una grave forma di autismo. Per noi è stata una grande esperienza di vita, da cui ciascuno di noi ha imparato tanto, ma di inclusione vera e propria in alcuni casi è difficile parlare». A raccontare la sua esperienza a Meridionews è Giuseppe Lipari, palermitano, già esponente della Rete degli studenti medi in Sicilia, oggi nel board dell’Obessu, l’organizzazione internazionale che riunisce le associazioni studentesche delle scuole secondarie di tutta Europa.

«Il percorso deve essere unico e in continuità, dalle elementari al liceo, per arrivare a una vera integrazione – sottolinea invece Lucio Lombardo, attuale coordinatore regionale della Rete degli studenti medi – è questo modello di scuola che va ripensato. Basta guardare a tutti i regolamenti d’istituto già approvati che prevedono la figura dello psicologo, che poi di fatto non c’è». Ancora una volta, perché mancano le risorse. «Anche la figura dell’insegnante di sostegno – sottolinea ancora Lombardo – nonostante sulla carta debba essere di sostegno alla classe, resta relegata a sostegno dello studente disabile».

Anche sul fronte delle barriere architettoniche, la strada – è il caso di dirlo – è ancora tutta in salita. «Perché lì – ammette ancora Lucio – il problema non è tanto legato al fatto che un preside che ha uno studente in carrozzina si vede costretto a spostare la classe al piano terra. Per la classe quello non è mai un problema. Il tema è che anche quello contribuisce al disagio del ragazzo diversamente abile. Perché per quanto nessuno glielo faccia pesare, si sentirà comunque di aver vincolato un intero gruppo per un’esigenza individuale».

«Quello delle barriere architettoniche è un tema per niente secondario – sottolinea invece Carlo Colloca, docente di Sociologia del Territorio all’Università di Catania – perché non riguarda soltanto lo spazio pubblico della scuola e rischia di rendere le fasce più deboli, disabili, bambini, anziani, donne in gravidanza, cittadini a metà. Bisogna affrontare seriamente il tema dell’accesso agli spazi pubblici, che troppo spesso viene negato dalle barriere architettoniche. Per decostruire uno stereotipo, in questo caso quello legato alla disabilità, è necessario che si arrivi a un grado di consapevolezza tale da comprendere che in qualche modo, tutta la classe è vittima di quelle barriere, perché tutta la classe si ritroverà isolata su un altro piano della scuola rispetto agli altri studenti. Lì il compito arduo, ma non impossibile, è nelle mani dell’insegnante, che dovrà spiegare che quella è una negazione di diritti per tutta la classe, che non si tratta di un’esigenza individuale, ma di un problema di comunità».

Intanto l’Anffas nazionale, nel sostenere la protesta di Antonio Costanza, si appella al governo romano: «È davvero inconcepibile che si debba ricorrere ad uno sciopero della fame per sollevare l’attenzione su tali problematiche e per trovare una soluzione: chiediamo quindi l’immediato intervento del ministro per la Famiglia e le Disabilità Lorenzo Fontana affinché si faccia direttamente carico della questione».

Miriam Di Peri

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