Comunque, non so neanch’io bene perché, questo inizio d’autunno me ne riporta alla memoria un altro. Un autunno cominciato con sulle spalle tutto il peso di un’estate trascorsa in tribunale; affrontato con una squadra messa insieme in pochi giorni, dopo mesi di incertezza sulla categoria in cui avremmo giocato; variegato da rinvii e recuperi che rendevano illeggibile la classifica; e che però, a dispetto d’ogni logica, vide quasi subito il Catania mettersi a volare. Vincendo le prime partite in trasferta, dopo un’intera stagione in cui anche un punticino fuori casa era tabù. E smaltendo, con le tossine di una preparazione affrettata, i veleni di mesi di calcio giudiziario, giocato in quel caso sui campi del Tar.
Era la stagione 2003/2004, nostro secondo anno di serie B. L’anno precedente, il Catania era, sul campo, retrocesso nella categoria inferiore. Non senza suoi demeriti tecnici, diciamolo. Ma non senza l’evidente spinta all’ingiù di un governo del calcio spudoratamente schierato a proteggere alcune squadre e ad affossarne altre. Tra le squadre da proteggere, che quell’anno militavano in B, c’era il Napoli, la cui eventuale retrocessione, quell’anno, avrebbe probabilmente distrutto delicati equilibri bancari e finanziari. Gli arbitri che andavano per la maggiore erano quelli che, qualche anno dopo, sarebbero finiti nelle inchieste su Calciopoli. Ricordo bene un arbitraggio, proprio di una gara contro il Napoli, in cui lo spudorato direttore di gara consentì a un giocatore partenopeo, tale Vidigal, di trasformarsi in pallavolista, concedendogli ripetuti e dolosi falli di mano senza mai estrarre il cartellino rosso. E ricordo anche la candida ammissione di Matarrese a margine dei fatti di quella stagione: «Certe società non potranno mai retrocedere per motivi di ordine pubblico».
Come è, come non è, alla fine di quel pilotatissimo campionato noi eravamo in serie C. Senonché i dirigenti rossazzurri trovarono un cavillo per venirne fuori. C’era di mezzo una irregolarità commessa da un nostro avversario, il Siena, che in una partita al Massimino aveva schierato un giocatore squalificato. Il Catania vinse il ricorso e ottenne, a tavolino, i tre punti della salvezza. Ora, certo, salvarsi a tavolino non è una di quelle imprese sportive che si raccontano ai nipotini. Ma le regole sono regole e vanno rispettate.
Senonché i signori del pallone, quella volta, la presero molto male e decisero appunto di cambiare in corsa le regole sulle squalifiche per dar torto al Catania, facendo finire il campionato secondo il loro copione. L’estate si trascinò tutta in tribunale, con code perfino in Parlamento, e con una sgradevole corsa tra i più disparati politicanti, tutti pronti a intestarsi il merito della permanenza in serie B di questa o quell’altra squadra. Perché poi l’affare Catania diventò in caso nazionale, e da quel pentolone venne fuori di tutto: perfino un’originale promozione della Fiorentina dalla C2 alla B.
Alla guida della società rossazzurra c’era allora la famiglia Gaucci. Si trattava di personaggi non tutti intemerati, che inchieste degli anni successivi avrebbero in qualche caso indotto a rifugiarsi all’estero. E nonostante tutto questo – Gaucci, il Tar, una salvezza conquistata a tavolino, il poco onorevole ricorso a cavilli da azzeccagarbugli – il campionato 2003/2004 lo cominciammo a testa alta. Perché, sia pure con mezzi non convenzionali, avevamo sfidato e messo all’angolo un sistema il cui marciume si odorava da un miglio lontano. Perché, sia pur trasformando il campionato di calcio in una sfida tra i Tar di ogni campanile, avevamo mostrato che neanche i potenti di allora – Franco Carraro, per fare un nome – potevano impunemente inventarsi le regole per proteggere le squadre a loro care e affossare quelle che stavano loro sul naso.
Così, quel settembre 2003 cominciò con un insolito senso di leggerezza. Con la squadra che vinceva con disinvoltura lontano dai suoi tifosi, mentre le pagine della gestione Gaucci, intanto, stavano per chiudersi. Fu al termine di quella stagione, infatti, che cominciò il lungo cammino che avrebbe portato il Catania fino all’ottavo posto in serie A. Conquistato, quest’ultimo, rimanendo fuori dal giro dei furbastri. Quelli che, nel calcio, continuavano intanto a comandare. Anche dopo l’apparente pulizia di Calciopoli.
L’inizio di stagione che stiamo ora vivendo – ieri sera, a Monopoli, la seconda consecutiva vittoria in trasferta; questa volta in rimonta, e con due gol di quello stesso Scarsella che ci ha già regalato i tre punti di Matera – mi ricorda un po’ quell’altro. Ed è bello, sì, vedere questa specie di mongolfiera rossazzurra staccarsi da terra e cominciare a volare. A dispetto dei pronostici che la inchiodavano al suolo. A dispetto della zavorra costituita dai nove punti di penalizzazione.
L’abbiamo gettata giù, parte di questa zavorra. A due partite dall’inizio, siamo ancora sotto lo zero, ma ormai di soli tre punti. E qualcuno comincia già a volare con la fantasia, a immaginare ascese velocissime e risalite imprevedibili.
Io però non riesco a dimenticare che la zavorra non sono solo i punti di penalizzazione. E che bisogna ancora depositare a terra chi, dopo essersi maldestramente seduto al banchetto dei furbi, ha avvelenato i pozzi della nostra storia sportiva e ci ha trascinati fin quaggiù.
Non credo che voleremo molto a lungo, trascinandoci dietro il peso di questa sporcizia. Mentre sarebbe così bello poter ripartire per un viaggio nuovo, con il soffio di ventimila tifosi a spingere il pallone verso il cielo…
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