Dalla zia paterna di Elena un retroscena sul finto rapimento «Un riferimento a biglietto con minacce rivolte a mio fratello»

«Io credo che lei non sopportasse questa bambina: aveva il cognome di mio fratello, l’avevo battezzata io ed era molto affezionata a noi». Martina Vanessa Del Pozzo, la sorella del papà di Elena parla così di Martina Patti, la madre 24enne della bambina che ha confessato di avere ucciso la figlia che tra un mese avrebbe compiuto cinque anni ma non ha ancora chiarito come. Era stata lei a denunciare il rapimento della bambina da parte di un commando armato e, dopo un lungo interrogatorio andato avanti per tutta la notte, a indicare il luogo non lontano dalla loro casa di Mascalucia. Una fosse scavata in un terreno incolto, distante una settantina di metri dalla strada. «Quando mio papà mi ha detto che i sospetti degli inquirenti si stavano concentrando su Martina – riferisce la zia paterna a MeridioNews – non ci potevo credere. Ho pensato, piuttosto, che questa vicenda così come era stata raccontata da lei potesse avere a che fare con la storia della rapina in cui era stato ingiustamente coinvolto mio fratello». 

Il 24enne Alessandro Del Pozzo, nel 2020, è stato arrestato con l’accusa di essere stato il secondo rapinatore, insieme a un amico, di una gioielleria di via Umberto a Catania. «Si era trattato di un caso di ingiustizia – dice la sorella – e lo abbiamo dimostrato tramite due avvocati anche con una perizia antropometrica e l’analisi delle telecamere di sorveglianza della zona». Un coinvolgimento nel reato di Del Pozzo che, finora, non era mai stato smentito. «Per questo, in un primo momento, ho ipotizzato potesse trattarsi di una vendetta legata a quella storia». Un sospetto che alla zia della bambina sarebbe nato da una frase che la madre ha riportato come se le fosse stata rivolta da quei sequestratori tirati in ballo nella prima versione dei fatti ricostruita nella denuncia. «Ha detto che quegli uomini incappucciati, puntandole contro un’arma, le avrebbero detto: “Non ti è bastato il biglietto? Tuo marito questa è l’ultima cosa che fa: a tua figlia la trovi morta”». Il biglietto a cui si fa riferimento, per la sorella del padre della bambina, sarebbe quello «con delle minacce che mio fratello aveva trovato nella buca delle lettere di casa nostra quando era passato dal carcere ai domiciliari – chiarisce la donna – A questo punto, io credo che Martina lo abbia detto per incolpare mio fratello di questa cosa. Durante la giornata di ieri – aggiunge – i familiari di lei continuavano a dire ad ad Alessandro: “Se c’entri tu o questo biglietto, per favore, parla”». 

I rapporti tra i genitori di Elena, che non si erano mai sposati ma la cui relazione era finita già da tempo, sarebbero stati buoni almeno in apparenza. Due vite che erano andate avanti: una nuova compagna per lui, catanese ma conosciuta in Germania durante un periodo trascorso da un amico; e un nuovo compagno anche per lei. Una figlia in comune ma affidata alla madre. «Lei era sempre infastidita quando ci doveva lasciare mia nipote – riferisce Martina Vanessa Del Pozzo – e lo faceva soprattutto per convenienza sua, quando voleva uscire a fare serata, ma noi accettavamo sempre volentieri». Tra le due cognate, invece, i rapporti erano più tesi. «È sempre stata strana e distaccata con me». Eppure, Martina aveva trascorso a casa dei genitori del compagno tutto il periodo della gravidanza. La mamma dell’ex compagno l’ha descritta come «strana e fredda, non mostrava affetto, non era empatica».

Le due cognate avevano qualcosa in comune, oltre al rapporto di parentela acquisita. «Io sono medica e lei era una studentessa di scienze infermieristiche, la aiutavo a studiare sempre ogni materia. Ma lei non sopportava né me e né mia madre, era sempre invidiosa. Con la bambina aveva pazienza, anche se – sottolinea la zia – ci sono stati degli episodi strani: come quella volta che Elena aveva rotto il cancelletto e lei l’ha ammazzata di botte». Un episodio di cui la donna dice di avere conservato anche delle foto di una gamba e dei glutei della bambina tutti arrossati. «In base alle lesioni, ho pensato fossero i segni di manate molto forti. Ma abbiamo pensato che non avesse avuto senso denunciare perché non avremmo ottenuto nulla. Ora di questo mi pento». La zia della bambina ha poi raccontato di due diversi episodi legati a degli animali. «Oltre a quando aveva picchiato mia nipote, non mi era piaciuto nemmeno come si era comportata con il pappagallo Cocorita. E adesso tenevo che anche il coniglio facesse la stessa fine». Un animale di compagnia che Elena aveva voluto con l’intenzione di chiamarlo Sara, come la nonna paterna. «La madre invece lo aveva comprato maschio e così lo avevano chiamato Saro. Avevo l’impressione che non sopportasse nemmeno quel coniglio». 

Simone Olivelli

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