Da Blutec ad Almaviva è un Primo maggio senza festa Crisi infinita, sindacati: «Da governo poca attenzione»

Tra cassa integrazione e lo spettro di nuovi licenziamenti, per molti lavoratori sarà un primo maggio senza festa. Da Blutec ad Almaviva, solo per citare i casi più noti ormai divenuti familiari persino al grande pubblico perché rilanciati quotidianamente dalla cronaca, sono decine le vertenze a Palermo e provincia ancora aperte. E con il Paese a un passo dalla recessione, il loro futuro appare appeso a un filo. Casi emblematici di un’economia che, soprattutto in Sicilia, ristagna da tempo nonostante i tanti investimenti drenati in tutti questi anni. Tra tutti, il caso più paradigmatico è sicuramente quello dello stabilimento industriale di Termini Imerese. Dopo l’addio di Fiat, oggi Fca, per l’ottavo anno consecutivo gli operai si ritroveranno davanti ai cancelli proprio nella giornata simbolo del lavoro per rilanciare, ancora una volta, la necessità di trovare una soluzione.

La manifestazione – organizzata da Fim Fiom e Uilm, si terrà nel viale che fino a sette anni fa portava il nome dell’avvocato Gianni Agnelli, ma dal 2013 intitolato al primo maggio – comincerà alle 9,30 e si concluderà con l’intervento di Michele De Palma, segretario nazionale della Fiom. Una cappa di incertezza aleggia sullo stabilimento dopo la conferma del sequestro della società da parte del tribunale di Torino nell’ambito dell’indagine per malversazione ai danni dello Stato che vede coinvolti i vertici di Blutec. L’accusa di avere distratto 16 milioni di euro di finanziamenti pubblici concessi attraverso Invitalia, e ora i sindacati sollecitano il commissario, Giuseppe Glorioso, ad accelerare il processo di reindustrializzazione. «Il commissario può superare le difficoltà e aiutare il percorso di rilancio dell’area industriale – sostiene il segretario della Fiom siciliana, Roberto Mastrosimone – C’è un problema di tempi, il 30 giugno scade la cassa integrazione e in fabbrica gran parte del lavoro, che ha impegnato 130 operai, è fermo. Chiediamo al commissario di accelerare il confronto con il ministero dello Sviluppo, con la Regione e con Fca per creare le condizioni necessarie a far rientrare al lavoro mille persone che aspettano ormai da troppi anni».

Hanno ben poco da festeggiare anche i dipendenti di Sirti, l’azienda nazionale specializzata nella realizzazione e manutenzione di grandi reti di telecomunicazione che nei mesi scorsi ha annunciato oltre 800 tagli in tutta Italia (50 solo nel capoluogo). Un incubo frenato grazie alle proteste delle organizzazioni dei lavoratori che ora, però, chiedono certezze. Nei prossimi giorni è previsto un incontro, sempre al Mise, perché l’azienda ha fatto un passo indietro ma ha annunciato anche di volere applicare ammortizzatori sociali e contratti di solidarietà solo a un gruppo di impiegati, mentre i sindacati pretendono che i diritti siano uguali per tutti. Una crisi che non ha confini e colpisce altre aziende nel settore delle telecomunicazioni. Come per Almaviva Contact dove il futuro appare sempre «molto drammatico», avverte Maurizio Rosso coordinatore regionale  Slc Cgil. «Continuano a esserci 700-800 esuberi su un totale di circa 2900 dipendenti – spiega – e tra la cassa integrazione al 25-30 per cento e gli ammortizzatori in scadenza, il quadro non è per nulla roseo». Le cause sono molteplici: l’intero settore vive una crisi profonda, con volumi di traffico prosciugati da una delocalizzazione selvaggia in assenza di un quadro normativo certo.

Eppure qualcosa si potrebbe fare per invertire la rotta, «perché manca una politica industriale per questo settore» rincara Rosso con un impegno delle istituzioni attraverso l’introduzione di correttivi forti come le tariffe minime e la lotta al massimo ribasso. «Fino a ieri mattina l’azienda ha fatto sapere che i committenti diminuiscono in maniera sostanziale le commesse – aggiunge Rosso – , con un calo tra il 40 e il 50 per cento. Il governo ha messo sul piatto 20 milioni di euro, veramente una mancia mentre noi pensiamo che debba essere prevista una misura più strutturata per questo settore». Ma tra tante ombre, spicca anche qualche sprazzo di luce isolata tra le vertenze storiche del capoluogo. «Dopo anni di inferno, scioperi e lotte per scongiurare la chiusura, Fincantieri oggi sta acquisendo navi per i prossimi 10 anni», racconta Francesco Foti della Fiom Cgil Palermo. «Per i prossimi tre anni abbiamo carichi di lavoro pari a un 1 milione di ore l’anno che riescono a saturare sia i 421 dipendenti diretti sia i 1500 dell’indotto». 

Una buona notizia, ma rimane sul tavolo l’annosa questione delle costruzioni assenti dal bacino palermitano. «Attualmente abbiamo le riparazioni e le trasformazioni ma ci manca la costruzione, lo zoccolo duro che porta lavoro per tutti – sottolinea Foti -, siamo ancora in attesa che il ministro Di Maio mantenga la parola data a novembre quando, nel corso della visita a Palermo, ha promesso che si sarebbe fatto promotore del finanziamento del bacino in muratura da 150 mila tonnellate fermo dal 1982». Attualmente, l’autorità portuale e Fincantieri hanno stilato il progetto poi inviato al Consiglio dei ministri, ma «si attende una risposta dal governo». Mentre l’altro punto interrogativo riguarda la Regione che non ha dato più notizie sui due bacini galleggianti da 52 mila e 19 mila tonnellate. «Da luglio siamo in attesa che l’assessore Turano e il presidente Musumeci ci dicano cosa vogliono fare – conclude – sono previsti 41 milioni di euro per la riparazione ma ad oggi non sappiamo ancora nulla».  

Antonio Mercurio

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