«Se cade uno, cadiamo tutti». Sono queste le parole dei dipendenti Almaviva che, stamattina, hanno aderito al sit-in, organizzato dalle sigle sindacali Cgil, Cisl, Uil, Uilcom e Ugl telecomunicazioni, in segno di solidarietà ai tremila colleghi di Palermo, Napoli e Roma che rischiano il licenziamento. Con la paura che si possa verificare una sorta di effetto domino su tutte le persone che lavorano per uno dei colossi nazionali dei call center. «Un presidio continuo – dice Davide Foti, segretario generale Slc Cgil Catania – dalle 9.30 alle 18 da parte di tutti i dipendenti catanesi che lavorano ad Almaviva. Si tratta, della sede di Misterbianco che conta circa 1200 persone con contratto a tempo indeterminato e 800 precari».
Tutti uniti oggi per far sentire la loro voce, per essere vicini ai colleghi che rischiano il posto, per manifestare «contro la mancanza di regole nel settore. Ovvero – spiega Foti – il governo non vigila sull’applicazione della legge in materia di trattamento dei dati personali del cliente». In altre parole chi riceve la telefonata avrebbe il diritto di scegliere se parlare con un operatore italiano o straniero, ma a quanto pare non è così. «Così le committenti hanno avuto il via per intensificare politiche al ribasso al di sotto del costo del lavoro dei contratti nazionali. Una condotta che ha permesso ad aziende statali come Poste ed Enel di ribassare le gare di circa il 30 per cento».
«Se continua così – dichiarano a gran voce i lavoratori – Almaviva cade e cadiamo tutti noi». «Ho 40 anni, sono laureato e lavoro qui da tanti anni ormai – racconta Natale Falà dipendente e rappresentante dei lavoratori – ero molto giovane quando ho iniziato, pensavo fosse un lavoro di passaggio, ma ora è il lavoro della mia vita. Sono sposato da sette anni e anche mia moglie lavora qui. Abbiamo due figli, immaginate cosa significherebbe per noi perdere il lavoro». Natale ha iniziato con un contratto a progetto e da dieci anni ha un contratto a tempo indeterminato.
«Ho 49 anni, sono diplomata, sono separata e ho due figli – racconta la dipendente Lidia Anastasi – ho un contratto part time a tempo indeterminato dal 2007. Ho paura delle delocalizzazioni. Il mio motto è: “Per ogni dieci lavoratori stranieri che rispondono, uno italiano muore”». E l’80 per cento dei dipendenti Almaviva sono donne. Come Marzia Guarrera, 34 anni, sposata e mamma di due bambini piccoli: «Dal 2010 ho un contratto part time a tempo indeterminato. Se perdiamo il lavoro, qui in Sicilia non abbiamo alternative. Chiediamo il rispetto delle leggi».
E ancora Angela Carbonaro, 32 anni, sposata e mamma di un bambina. Assunta nel 2007 con un contratto a tempo indeterminato sostiene: «Mio marito lavora, ma non ha stabilità per quanto riguarda lo stipendio. Il mio lavoro è più stabile, non so come potrei fare avendo un mutuo e una bambina piccola». «È un genocidio – conclude Falà – quello dei 3000 colleghi». I lavoratori e i sindacati chiedono inoltre un tavolo di crisi al Mise, Ministero dello sviluppo economico, in tempi celeri. «L’incontro è previsto per il prossimo 18 aprile», afferma Francesco Siciliano, segretario provinciale Uilcom Catania.
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