Otto giorni. È il ritardo con cui all’aeroporto Vincenzo Bellini di Catania partiranno i controlli tramite tamponi per i passeggeri non residenti provenienti da Spagna, Malta, Grecia e Croazia. Ovvero quelli dove, al momento, il pericolo Covid-19 è ritenuto più serio. L’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza prevedeva, infatti, che già a partire dal 13 agosto il servizio fosse attivo. Ma così non è stato nel capoluogo etneo. «Parliamo del terzo aeroporto d’Italia per traffico, se non si tiene a mente questo dato ogni riflessione è viziata da un pregiudizio», dichiara a MeridioNews Pino Liberti, commissario Covid della Regione nel Catanese. Il riferimento del medico va al possibile confronto con l’aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo, dove già da giorni i tamponi vengono effettuati. «I rispettivi afflussi di viaggiatori non sono paragonabili», sottolinea Liberti. Numeri a parte, la sensazione però è che anche in questa vicenda ci sia stato un rimpallo di responsabilità.
Il reclutamento del personale
Stando a fonti sanitarie ministeriali, tra i motivi che hanno contribuito al ritardo ci sarebbe stato la difficoltà dell’Asp di Catania a reperire il personale da assegnare all’aeroporto e al porto, dove il primo tampone dovrebbe essere effettuato lunedì mattina in occasione dell’arrivo della nave della compagna Grimaldi proveniente da Malta. In effetti, risale a martedì la delibera con cui il dirigente generale dell’Azienda sanitaria provinciale etnea Maurizio Lanza ha disposto l’istituzione di due unità speciali di continuità assistenziale turistica (Uscat) da rendere «immediatamente operative», «sette giorni su sette, dalle 8 alle 20». In totale sono dieci i medici a cui è stato conferito l’incarico tra quelli già presenti nella prima graduatoria, redatta tra aprile e maggio in vista dell’ordinanza che venne emanata a giugno scorso con cui la Regione istituiva almeno un’unità sanitaria in ogni provincia siciliana.
L’andamento dei contagi, adesso, ha imposto un deciso cambio di passo. Catania e la sua provincia confermano il trend di inizio pandemia con il più alto numero di persone infette. E, in questo quadro, i turisti in arrivo – l’ordinanza prevede che il tampone allo sbarco venga effettuato soltanto a chi non è residente in Sicilia – possono rappresentare una minaccia in più. «Noi abbiamo messo a disposizione degli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (Usmaf) il nostro personale, perché il loro non è sufficiente, ma questa procedura (i tamponi, ndr) spetterebbe a loro non all’Asp», dichiara Liberti. Dall’Usmaf, invece, la tesi è diversa: «Il servizio dell’accertamento diagnostico non è di nostra competenza ma della sanità territoriale», commenta il responsabile per la Sicilia Claudio Pulvirenti.
Il nodo organizzativo: tra logistica e formazione
Tra i fattori che hanno reso necessario attendere oltre una settimana prima di fare partire i tamponi per i turisti provenienti da zone a particolare rischio, c’è l’allestimento della zona verso dove verranno fatti convogliare i passeggeri da sottoporre a tampone. «Avremo da gestire un flusso di circa ottocento passeggeri al giorno, anche se a questi vanno tolti i siciliani di ritorno – specifica Liberti -. Sono numeri importanti ed è per questo si è stabilito di utilizzare il terminal C che è stato attrezzato per le esigenze richieste dai controlli. Abbiamo dovuto interloquire con Enac, Enav, Dogana, ma anche polizia e carabinieri». A ciò va aggiunta la preparazione dei medici al contesto: «Lavoreranno in uno spazio aeroportuale e questo richiede una formazione precisa».
Liberti tiene a sottolineare come nella settimana trascorsa l’Asp non sia rimasta però con le mani in mano. «Non sono stati effettuati i tamponi in aeroporto, ma i turisti sono stati intercettati nelle strutture ricettive dove alloggiano», specifica. Qualcosa di simile è stato organizzato anche dall’Asp di Ragusa a cui spettano i controlli per gli approdi a Pozzallo delle navi provenienti da Malta. Qui però la scelta di fare i tamponi nei luoghi in cui i turisti alloggiano deriva da una esigenza tecnica: la nave della Virtus Ferries ha procedure di sbarco molto veloci che non consentono di gestire i test subito dopo l’arrivo.
Chi processerà i tamponi?
In attesa dei risultati, i turisti stranieri dovranno evitare il contatto con la popolazione locale. L’obiettivo, in tal senso, è quello di fare prima possibile. «Dobbiamo garantire la qualità dei controlli sanitari e al contempo fare in modo che i responsi arrivino con tempistiche puntuali – spiega Liberti -. Per questo chiederemo uno sforzo in più al professore Guido Scalia del Policlinico. Di volta in volta, prima dell’atterraggio, sapremo quanti tamponi dovremo fare e ci organizzeremo. In caso di numeri elevati e se il caso lo richiederà – conclude – potremo rivolgerci anche a laboratori privati». Quello di Catania non è però un caso isolato. In diversi aeroporti italiani – Lombardia compresa – lo spartito è stato lo stesso. Discorso diverso per gli scali romani, dove i tamponi sono cominciati già dal 16 agosto. In due giorni poco più di duemila controlli e 27 persone infette individuate.
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