Covid-19, il breve passo dalla solidarietà alla violenza Dalla caccia agli untori agli assalti nei supermercati

Sono ormai più di due settimane che siamo tutti costretti a rimanere chiusi nelle nostre case per proteggerci dal Coronavirus. Dopo lo shock iniziale seguito alla comunicazione in diretta data dal presidente Conte, le reazioni della maggior parte della gente sono state tutto sommato buone. Tanto che nel giro di pochi giorni a farla da padrona erano gli appuntamenti ai balconi con performance musicali e flashmob ogni giorno diversi. Un vero e proprio appuntamento, sentito e condiviso da molti. Ma che adesso, dopo la seconda settimana di isolamento, sembra solo un lontano ricordo. Alle 18 non si sente più una voce al megafono dare il via a una mezzora di spensieratezza per dire ai vicini di zona di resistere tutti insieme perché in allegria riesce meglio. «Va etta sangu e mori», è invece la frase che più sembra aleggiare in questi giorni nell’aria. O, almeno, in quella virtuale. Dalla solidarietà, sullo sfondo di balletti, canzoncine e donazioni, alla violenza più selvaggia il passo, almeno a Palermo e provincia, sembra essere stato davvero breve.

Due le specialità in cui tentiamo di distinguerci. La prima sembra essere una moderna caccia agli untori, cioè tutti quei concittadini risultati positivi al virus visti da qualcuno come degli appestati e di cui si vorrebbe conoscere ad ogni costo l’identità per poterne stare alla larga, dicono. O per metterli in croce, quello che invece non dicono. Uno dei casi più eclatanti di vera e propria gogna mediatica, che ha seriamente rischiato di valicare i confini della virtualità per approdare nella realtà vera, è stato quello che ha visto protagonista, suo malgrado, la giovane tirocinante in servizio all’Rsa Villa delle Palme di Villafrati che per prima è risultata positiva al Covid-19. Non significa, tuttavia, che a portarlo nella struttura, dove i contagiati adesso sono oltre 70, sia stata lei. Poco importa, perché quelli che lo stesso sindaco Orlando ha definito senza troppi giri degli «sciacalli», gente che «rivendica la propria appartenenza ai bassifondi mafiosi», proprio non ce l’hanno fatta a non scatenarle contro un’ondata di fango epocale. Alla faccia della solidarietà e del “volemose tutti bene”, che tanto siamo tutti sulla stessa barca. Qualcuno, in preda all’ira, ha pensato addirittura a un piano per liberasi della pericolosa untrice: darle fuoco

Estremi che lasciano il passo a episodi di certo più miti ma non meno preoccupanti. A ogni diretta Facebook del sindaco di turno di un qualche Comune del Palermitano, infatti, sembrano in tanti quelli pronti a chiedere con insistenza l’identità del contagiato di turno. A volte ricorrendo a espressioni violente, malgrado sia stato ribadito ormai ovunque che la tutela della privacy impedirà sempre una simile rivelazione. Che, appunto, più che per proteggersi, sembrano servire solo per buttare fango. Alla faccia dell’unione solidale. Sembra quasi che, tolto il velo d’apparente armonia della prima settimana, questa emergenza abbia solo contribuito a esporre il peggio di noi. Se non di tutti, di certo di chi in questi giorni si è impegnato a organizzare, attraverso Facebook e Whatsapp, dei veri e propri assalti a supermercati e ipermercati della città , dal Forum al Conca d’Oro al centro La Torre, adesso presidiati da finanzieri, carabinieri e polizia. «Dobbiamo fare la guerra», scrive addirittura qualcuno. «Mettetevi le cose imbottite in capo perché i vastunati sunnu enormi, perché i figghi i pulla chi i manganelli un babbiano, perciò cummigghiatevi buono e se c’è i schicchiarli, i schicchiamo, è buono ca u sbirru ti dice “pietà”, va etta sangu e muori», replica un altro dai toni decisamente meno simpatici, alludendo all’ipotesi di trovare le forze dell’ordine a presidiare gli ingressi dei grandi centri. Mentre un altro ancora, scherzando sui social, si mostra in un video mentre finge di prepararsi per andare al market con una pistola nel sacchetto per la spesa

«Puru ca vennu ca tenuta antisommossa ni ponnu tenere a nuatri? Tutti chi mazze nni mano, i marruggi, chisto e chist’avutru contra iddi, non credo proprio – dice un altro che ha scambiato la spesa per una battuta di caccia -. Appena siamo una massa…a cu hannu a firmari? Siamo un bordello, c’è u scappa scappa domani». Sono voci registrate, messaggi, audio, schermate che si rincorrono da ore sulla rete. Ma qualcuno, addirittura, ci mette pure la faccia, firmando video messaggi minatori indirizzati al sindaco Orlando. Come quello di una donna che lamenta il fatto che l’amministrazione comunale si sarebbe resa conto troppo tardi delle tante, troppe famiglie palermitane gettate dal virus nella disperazione più totale. Il Covid, infatti, ha bloccato tutto, la vita è come sospesa e in molti hanno perso il lavoro oppure, a causa di aziende ferme, non percepiscono più un soldo. E poi ci sono quelli che, a Palermo come altrove, hanno sempre vissuto di espedienti, uno stile di vita reso impossibile dall’obbligo di stare barricati in casa.

«Serve un aiuto per i palermitani? E te ne sei accorto ora, sindaco? – domanda la donna -. Se non ci aiuti, lo giuro, ti vegnu affocu io. Vedi di aiutarci, di dare pane e vino per i nostri figli, di trovare un travagghiu per i nostri masculi, ti vengo a prendere ovunque sei altrimenti, perché u sacciu unne minchia t’abbieniri a pigghiari – si scalda –. Tu sei quello a cui ho chiesto aiuto e che mi ha dato l’indirizzo delle monache, che però mi hanno detto “qua non c’è niente, devi rivolgerti al Comune”, si un cornutu, tu con tutti i muonache, un ti fari annagghiare i mia, cca i cristiani stanno nisciennu pazzi». Una disperazione sempre più palpabile, insomma, al contrario di quell’invisibilità con cui invece il virus ci tiene sotto scacco. Disperazione divenuta a tutti gli effetti, per molti, pura violenza. Così che forse adesso, oltre a temere il contagio, tocca avere paura anche di noi stessi

Silvia Buffa

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