Comunali 2018, il «giovane» 46enne Salvo Pogliese «Bianco? Scollato dalla città, circondato da Yes men»

Quarantasei anni e una notorietà da politico e «candidato giovane» che non sorprende, a giudicare dagli standard della politica italiana. L’eurodeputato di Forza Italia Salvo Pogliese nell’etichetta ci si ritrova benissimo, accordandola senza sforzo a un curriculum politico piuttosto denso. Scandito da un ritornello che l’1 marzo scorso si è fatto realtà: che Pogliese diventi il primo cittadino di Catania è un sogno che molti coltivano praticamente da decenni. Il professore Umberto Scapagnini, fresco d’elezione nell’aprile del 2000, stava salutando i tifosi del Catania con un giro di campo al Massimino, quando la curva nord srotolò uno lungo striscione che veniva dal futuro: «Pogliese sindaco». Il diretto interessato, ospite in redazione di MeridioNews, promette documentazione fotografica dell’auspicio ultrà che, 18 anni dopo, si augura possa tramutarsi nell’esito delle elezioni del 10 giugno.

Per una politica che fatica a svecchiarsi lei è un giovane. Alle sue spalle ci sono invece decine di campagne elettorali. Stavolta cosa trova di diverso? 
«Non avevo mai vissuto una campagna da candidato sindaco, sebbene sia sempre stato candidato e votato con le preferenze, mai in listini bloccati. Credo che oggi ci sia maggiore attenzione verso la figura che si propone come sindaco. In passato il candidato consigliere veniva prima nella scelta degli elettori. Ora molti consiglieri, specie dalla sinistra, mi dicono che la gente prima di tutto chiede: “Sei con Bianco o con Pogliese?”. Il candidato sindaco darà un’influenza decisiva sull’esito elettorale».

Potrebbe dunque essere lei stesso il fattore decisivo…
«Lo diranno i catanesi. Però il sottoscritto ha fatto una scelta che pochissimi al posto mio avrebbero fatto. Questo la gente lo sta apprezzando, a prescindere dall’appartenenza. La mia storia personale e politica parla chiaro: a differenza di tanti, io non ho mai cambiato partito. Nel 1986 mi sono iscritto al Fronte della Gioventù e da allora la mia è stata una storia di coerenza. Mi sono collocato in un’area, a prescindere da gioie e amarezze, e ne ho seguito la trasformazione fino a FI. Questa coerenza è una garanzia anche per chi non è di destra, ma rispetta chi non ha mai cambiato bandiera. La proposta nasce nel centrodestra ma si è aperta anche a esperienze che non provengono da quell’area, come nel caso della lista Catania in Azione (patrocinata dal deputato renziano Nicola D’Agostino, ndr). Accolgo chi non vota centrodestra ma vuole stare al mio fianco con grande felicità». 

L’ipotesi della sua discesa in campo da sindaco la si mormora da anni. Stavolta cos’è cambiato? Ha forse pesato la mancata candidatura alle scorse Politiche, legata al veto di FI sugli europarlamentari?
«Sarebbe stato molto più semplice e gratificante sotto molteplici aspetti continuare all’Europarlamento. Avrei potuto farlo. Se ho deciso in altro modo è per una scelta d’amore per la mia città che pochissimi avrebbero fatto: fare il sindaco è stato il sogno della mia vita. Ma questo è anche il periodo peggiore per farlo, con un Comune che ha un buco superiore al miliardo di euro e 2800 dipendenti anziché i 5200 di quando sono diventato consigliere, nel 1997. I miei colleghi di Bruxelles mi considerano eretico, perché conoscono anche i benefit connessi al ruolo di eurodeputato. Quando a Roma si decidevano le liste per le Politiche, io dissi di volere il collegio uninominale di Catania città, immaginando un percorso che non escludeva di candidarmi in seguito a sindaco. Tutto questo mentre c’era la corsa ai listini bloccati, posto che mi sarebbe spettato. Poi arrivò il veto, e la stessa cosa in realtà era avvenuta alle Politiche del 2013».

Il momento è difficile, però è anche vero che l’opportunità è ghiotta. Fra i suoi sfidanti, Bianco non è ai massimi del gradimento, i grillini non dovrebbero esprimere i numeri delle Politiche, Abramo non è riuscito ad aggregare, Pellegrino pare più indietro.
«Quando ho deciso di candidarmi non conoscevo lo scenario e ho scelto a prescindere da tutto. La ricandidatura di Bianco, ad esempio, non sembrava per nulla certa. Sulle possibilità di vittoria sono ottimista, senza però sottovalutare nessuno. Il M5s a Catania, due mesi fa, ha preso il 49 per cento. In ogni caso, la mia è una decisione in controtendenza: in questa città qualcuno dovrebbe ricordare che nel 2000 Enzo Bianco, insediatosi soltanto nel 1998, si dimise per una comoda poltrona romana. Qualcuno ha fatto questo, qualcun altro l’esatto opposto. So perfettamente che Catania è una città difficilissima: metto in conto tutto, convinto che l’entusiasmo, la passione, il vigore fisico mi daranno una marcia in più rispetto agli altri. Lo dico con presunzione e orgoglio».

Raffaele Stancanelli invece, nel 2011, decise di restare sindaco. Lei ha dichiarato di volersi riallacciare a quell’esperienza. Non ne teme l’impopolarità? 
«Stancanelli è stato un buon sindaco, governando in un momento di grande difficoltà. Ha fatto il buon amministratore, sapendo dire un sacco di no e per questo ha avuto problemi con consiglieri e portatori di voti. Io voglio riallacciare i rapporti con la città a differenza di quanto fatto da Bianco, rinchiuso nella torre d’avorio e circondato da Yes men. Inaugurare semafori e panchine è stato imbarazzante per uno come lui, un innovatore nella comunicazione istituzionale soprattutto fra ’88 e ’93. Io nel 1988 avevo 16 anni, presidente del Consiglio era Giovanni Goria, in Russia c’era Gorbaciov. Questo fa percepire bene la distanza dell’era in cui Bianco ha iniziato a fare il sindaco. Onore al merito, ma io credo che sia fisiologico che una persona, dopo trent’anni, non abbia più capacità d’innovazione». 

Il metodo Stancanelli si trovò a cozzare, come per il varo della giunta tecnica, con gli equilibri politici di allora. Oggi il centrodestra riunitosi intorno a Pogliese è fatto in larga parte delle stesse componenti. Come si conciliano le due cose?
«La giunta tecnica non l’ho condivisa, a differenza degli altri che l’hanno subita. Sono stato l’unico a non dare nominativi quando mi pressavano per avere Sergio Parisi. Qualche passaggio di Raffaele non l’ho condiviso. Noi cercheremo di avere un rapporto di collaborazione stretta con partiti e liste civiche, anche perché sono stato sollecitato a candidarmi da tutti». 

Nel centrodestra sono arrivati anche ex sostenitori di Bianco. Avranno posti in giunta?
«Su questo ci confronteremo, non ho una posizione a priori. Sono agnostico. Stiamo cercando di trovare la giusta sintesi in un contesto dove si potranno designare otto assessori. Valuterò i nomi che mi proporranno, i risultati delle nove liste e vedremo». 

Riguardo al tema dei cosiddetti impresentabili, quale criterio avete adottato nella stesura delle liste? 
«Abbiamo fatto approfondimenti sui nomi, individuando un criterio legato alle normative vigenti e ai codici Bindi e Musumeci. Il modello di base è quello». 

Potrebbero quindi verificarsi casi analoghi a quello Pellegrino delle scorse Regionali..
«Valuteremo caso per caso. Ci sono gradi di parentela normati e gradi che non lo sono». 

Intanto ci ha pensato l’arresto dell’ex deputato Marco Forzese a procurarle grattacapi. L’ex consigliere Antonino Nicotra, in più, risultava fra i papapibili candidati di FI.
«Non sarà candidato, c’era stata solo un’interlocuzione. Imbarazzante è invece quanto detto da Giulia Grillo. Forzese è stato autorevole esponente e candidato del centrosinistra, vicino a Rosario Crocetta, e in queste elezioni non sarebbe stato né candidato al consiglio né nominato assessore. Ha aderito a Diventerà bellissima e, fino all’inaugurazione del comitato cui ho partecipato, non aveva avuto procedimenti giudiziari. Di Maio, Di Battista e Cancelleri sono stati ritratti abbracciati a Fabrizio La Gaipa, ma non mi sarei sognato di criticarli per una foto con un imprenditore che poi viene arrestato. Il loro è un atteggiamento ipocrita. La gente della caccia alle streghe non ne può più». 

Lei è sotto processo per peculato ma si dice certo della propria innocenza. Dovesse però andare male, cosa farà il sindaco Salvo Pogliese?
«Le accuse riguardano una cosa che nessuno, nella storia dell’Ars, ha mai fatto. Che un politico anticipi decine di migliaia di euro, dal proprio conto corrente, per pagare stipendi dei dipendenti del gruppo parlamentare, anticipi del Tfr e spese di funzionamento, è fatto che rivendico. Dopo che abbiamo risanato la situazione economica del gruppo, ho recuperato una parte dei soldi anticipati in un contesto in cui la normativa lo consentiva. I gruppi erano equiparati ad associazioni non riconosciute, senza stesura formale di bilancio. Il governo Monti fece poi ordine in un settore dove c’era anarchia. Sono sereno, altrimenti non avrei lasciato Bruxelles e l’immunità, e non accetto lezioni di etica e morale. Per me la politica è sempre stata un costo, ma la faccio con orgoglio, anche per la mia visione romantica della vita e del mondo. Non sarei di destra, altrimenti. Dovessi essere condannato la normativa prevede una sospensione per diciotto mesi, la giunta resta in carica. Ma è una ipotesi che non si verificherà perché sono sicuro della totale correttezza del mio operato».

Lo scenario come incide sulla nomina del vicesindaco, eventualmente chiamato a governare in sua assenza?
«Sono scaramantico, non ci penso. A prescindere sceglierò un vicesindaco di alto profilo, di assoluta fiducia del sindaco».

Bilancio dell’ente e spettro dissesto. Bianco ha da poco affrontato la Corte dei conti.
«Non mi ha convinto per nulla la sua difesa, il sindaco si è mostrato inadeguato. D’altronde la Corte dei conti ha certificato l’aumento di 440 milioni di euro di disavanzo e di 485 milioni di euro di passività durante il suo mandato. Bianco dovrebbe giustificare il suo operato, come nel caso dei 42 milioni di trasferimento all’Amt. Ci sono anomalie».

Partecipate. Come si pone rispetto all’ipotesi della privatizzazione, sul modello del referendum Atac a Roma.
«Ci stiamo confrontando con i tecnici. Una volta elaborata una posizione, puntualmente la manterremo. Sulla stesura del programma abbiamo avviato un percorso innovativo, un programma partecipato fatto di confronto costante e incontri tematici con le categorie». 

Tondo Gioeni. Sta valutando il recupero di un progetto di Tuccio D’Urso.
«Stiamo ragionando anche su questo ma anche su nodi più generali. Ad esempio le tempistiche del Piano regolatore generale. Lo presenteremo al Consiglio entro un tempo che stabiliremo avendo la certezza di poterlo mantenere. D’Urso mi ha fatto vedere il progetto, ma ne stiamo valutando anche altri. Si confrontano due linee: da una parte un intervento radicale, dall’altra uno meno invasivo. La necessità è comunque di cambiare. Quello che è accaduto sul Tondo è davvero imbarazzante. La fontana da un milione di euro è un’offesa aggiuntiva alla città, mentre tutto quello che è stato detto non è vero: il ponte non doveva essere abbattuto per forza». 

Emergenza rifiuti. In un comunicato lei afferma che la progettazione del futuro bando per la nettezza urbana vada affidata ai privati. Come mai?
«Non proprio. Abbiamo detto che, al contrario di quanto sostiene il sindaco secondo cui era stato tutto concordato con l’Anac, l’autorità suggeriva di spezzettare la città in lotti la città. Non aveva senso un bando da 350 milioni, tant’è che non ha partecipato nessuno. Abbiamo detto, poi, che talvolta si può immaginare un confronto con realtà private, tecnicamente fattibile, per fare una sorta di indagine di mercato e avere suggerimenti sulle caratteristiche del bando».

La prima cosa che farà da sindaco?
«Catania deve tornare una città normale, a partire da pulizia e decoro. Serve uno sforzo aggiuntivo su questo, anche considerando la vergogna della differenziata ridotta al minimo. Cercheremo anche di far sentire di più la presenza dell’ente comunale, a partire dal ruolo dei vigili urbani malgrado il contesto di carenza d’organico».  

L’eventuale vittoria di Pogliese potrebbe anche fare da spinta per il rinnovo del centrodestra sul piano nazionale, oppure sarà solo un’esperienza con riflessi cittadini?
«Catania sarà la città più importante al voto in Italia. Far vincere il centrodestra con un candidato quarantenne sarà un messaggio di rilievo». 

Francesco Vasta

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