Città della scienza, successo per l’apertura sperimentale «Per entrare a regime servono fondi che non abbiamo»

«Prima non ci presentavamo bene». Adesso, dopo un’apertura sperimentale di due mesi con visite organizzate per gli studenti delle scuole elementari e medie, i responsabili della Città della scienza tirano un sospiro di sollievo. «Ovviamente delle criticità sono emerse, e questo per noi è importante, ma nel complesso il riscontro è stato positivo», afferma Agata Copani, delegata del rettore alla struttura ultimata nel 2009 e mai aperta al pubblico. «Abbiamo mostrato cosa si può fare».

Le difficoltà sono definite dalla docente «banali. L’organizzazione dei tempi, la gestione dei gruppi. Abbiamo testato sulla stessa classe le stesse attività. Dagli insegnanti ci è stato detto che è bene pensare ad attività su tempi più lunghi». Ma adesso che le potenzialità sono state esplorate, c’è da pensare a come mettere a frutto l’investimento che ha trasformato un’antica raffineria in un museo da tremila metri quadri.

«La struttura non era completa – racconta – È stata fatta e poi chiusa, mancava il polso del reale funzionamento». A cominciare da elementi quasi banali, anche per un edificio completato nel 2008. «Non esisteva un cablaggio, mancava la linea telefonica», afferma con un sorriso. E poi «requisiti di sicurezza che andavano bene allora e adesso invece sono cambiati». 

«Non c’eravamo», premette la professoressa riferendosi alla gestione guidata da Giacomo Pignataro di cui fa parte, ma fa un’ipotesi di come sono andate le cose nel corso di quest anni. «Come spesso succede, i fondi finiscono a ridosso della chiusura di un progetto. Devono aver avuto dei problemi perché si doveva chiudere in tempi rapidi – analizza – Hanno pensato a come la struttura sarebbe stata e hanno comprato quanto dovevano». 

Quello che subito dopo la chiusura dei lavori è mancato è stata una prova generale, realizzata invece a villa Zingale Tetto, un altro edificio dell’università. «Sarebbe stato comunque difficile sostenere questo tipo di struttura in assenza di una fonte di finanziamento», concede. Anche se poteva essere più semplice partire allora, «piuttosto che tenerla chiusa per diversi anni e dover ricominciare daccapo. Si poteva tentare un test per tenere la struttura aperta in attesa di tempi migliori. Obiettivamente ci vuole un sostegno economico importante, è innegabile». E così «ci siamo trovati a ereditare una struttura teoricamente finita, ma isolata rispetto al contesto. Se si fosse fatto lo sforzo di contare sulle proprie forze per provarne il funzionamento, tante criticità sarebbero già emerse allora».

«La struttura sta funzionando attraverso l’attività di volontariato – racconta Copani – Ci consente di aprire solo una volta a settimana, con attività programmata». Studenti, docenti, personale anche in pensione il personale impiegato in questi mesi. «Per entrare a regime, avremo bisogno di operatori museali – chiarisce la professoressa – Che implica una sostenibilità economica che al momento non abbiamo». A coordinare la progettazione, garantisce, sarà sempre Unict. Anche perché «molte delle cose che sono esposte sono proprietà intellettuale dei docenti dell’ateneo». E sarà sempre «possibile realizzare tirocini per gli allievi. Ma non si può contare solo su questo».

Un’esperienza universitaria di successo è quella rappresentata da Officine culturali, associazione che gestisce la fruizione dell’ex monastero dei benedettini. Un modello che però, nel caso della Città della scienza, non sarebbe applicabile con la stessa facilità. «Officine ha una peculiarità: sono gestori del servizio museale e per loro formazione sono anche operatori – analizza Agata Copani – Hanno un tipo di studi utili a quel percorso. Qui è diverso: è un museo scientifico interattivo su tematiche diverse». Difficile «trovare competenze in robotica, informatica, biologia in un’esperienza che somigli a Officine».

Chiuso il ciclo delle visite programmate con le scuole, continua la sperimentazione. La prossima attività vedrà una variabile diversa, con protagonisti gli studenti universitari diversamente abili del Cinap, il Centro per l’attività integrata e partecipata. E continuano le ricerche di partner. Due sono l’Infn e il Cnr, con i quali si potrebbe realizzare una mostra multimediale sugli errori della scienza. «Le fonti di finanziamento le cerchiamo, ci proviamo a trovarne», assicura la delegata. Finora «è stato difficile presentarci al Miur (il ministero dell’Istruzione, ndr). Oggi abbiamo una buona lettera di presentazione. Ci rende più fiduciosi».

Carmen Valisano

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