Sequenze d’immagini e suoni, uno più crudo, più assurdo e più illogico dell’altro, ma sempre estremamente reali. È questo ciò che emerge dagli spezzoni comici ma pur sempre concreti e forti di Ciprì e Maresco, due cineasti palermitani, come è stato possibile vedere lo scorso giovedì 15 maggio alle ore 21, presso l’auditorium dei Benedettini, dove i due “performers” hanno presentato e discusso i propri lavori-capolavori.
E si tratta di testi visivi che con le loro contraddizioni, satira e con le loro immagini grottesche riescono a suscitare il riso negli spettatori. Un auditorium pieno di ragazzi e non solo, pronti a far domande e a discutere con interesse e voglia di dialettica le varie tematiche affrontate dalle immagini presentate. “Brutto da morire” è proprio il film presentato dai due comici che mostra tra squallide periferie, assenza di colori ed un’ironia spiazzante il grigiore che si cela nella nostra quotidianità e che, spesso, passa inosservato perché, presi dalla vita di ogni giorno, si tende a sorvolare su ciò che si può rimandare ad un altro momento.
Rutti, religiosità sofferente, tic, croci sciolte nell’acido: ecco la bruttezza alla quale si riferiscono, e che si presenta con la propria ironia spiazzante in ogni loro film, tra cui “Lo zio di Brookling”, “Il ritorno del Cagliostro”, o “Come inguaiammo il cinema italiano”.
All’interno di tali immagini ecco apparire dunque una realtà siciliana alternativa, grottesca ed estremamente triste. Una realtà dove non si parla solo di società in maniera diretta, ma dove è necessaria la reticenza, la tristezza, la noia e tanti altri significati nascosti da scoprire e capire poco per volta.
Ecco dunque una serata particolare in grado di unire sullo stesso argomento un pubblico di età differente, con interessi differenti, ma che condivide lo stesso piacere per l’ironia verso una società che, nel bene e nel male è pur sempre la nostra: una società caratterizzata dalla rivoluzione catodica, dalla politica onnipresente e dalla falsa e pesante religiosità, occultata da un costante perbenismo che dissimula ogni cosa, o almeno ci prova. Una “bruttezza” profonda e significativa, impressa nella pellicola.
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