Cibali, l’incontro tra migranti e ambulanti Un giorno al mercato di piazza Spedini

Per Canaan e i suoi amici nigeriani è il quinto giorno di permanenza al Palaspedini di Catania. Quello giusto per uscire dall’impianto sportivo e conoscere i catanesi. L’occasione è il mercato rionale che ogni sabato mattina si svolge davanti allo stadio Massimino. Fanno parte del gruppo di 390 migranti arrivati l’1 luglio al porto etneo e partiti il 27 giugno dalla Libia. Hanno percorso l’ultimo tratto di mare sulla nave Orione della marina militare e sono rimasti per un giorno in attesa di ricevere il via libera all’approdo a causa della notizia di un caso di vaiolo, che in realtà era solo varicella. Hanno condiviso le ultime ore di viaggio con i superstiti del naufragio in cui avrebbero perso la vita 70 persone. Testimoni su cui si basa anche l’inchiesta aperta dalla Procura di Catania. Loro, i testimoni, sono stati già trasferiti in vari centri per richiedenti asilo della Penisola. Canaan e poco meno di altri cento migranti rimangono in attesa all’interno dell’impianto sportivo dove, con il caldo degli ultimi giorni, la temperatura è aumentata.

Le porte sono aperte. Fuori, a qualche metro di distanza gli ambulanti hanno occupato il piazzale con le loro bancarelle. C’è solo una pattuglia dei carabinieri a fare da guardia. L’incontro tra commercianti e migranti nasce quasi spontaneo. I secondi hanno bisogno di asciugamani e creme per il corpo, messo a dura prova dalla lunga traversata. E i primi non se lo fanno ripetere due volte. «Gliele abbiamo vendute a metà prezzo», racconta un venditore con una bancarella piena di prodotti per l’igiene personale. «Qualcosa gliel’abbiamo anche regalata, perché… Mischini, non è manco giusto stare così. La colpa non è loro, è dello Stato», aggiunge un collaboratore. «Io non ce l’ho con loro, ma con lo Stato che ci mangia», si inserisce un altro venditore, mentre smonta la sua bancarella di tessili per la casa. «Gli ho regalato una coppia di asciugamani. Non hanno niente, ma tanto oggi pomeriggio se ne vanno», continua. «Li fanno scappare», specifica.

Tutti, prima ancora di raccontare della convivenza con chi sta dentro il Palaspedini, indicano l’auto dei carabinieri ferma davanti al palazzetto. «Sono stati in macchina tutto il giorno. Chiusi, con l’aria condizionata accesa. Anche quella benzina non la paghiamo noi? E poi lì dentro hanno solo da mangiare», dicono da più parti. «Ci voli u stomacu di ferru ppi taliari cetti cosi», aggiunge il venditore di lenzuola e asciugamani.

Canaan e i suoi amici neanche si accorgono di quello che i commercianti sottolineano. Si dicono «felici», perché finalmente al sicuro. L’Italia o un altro paese europeo? «Poco importa». Girano tra le bancarelle, poi ritornano all’interno del Palaspedini all’ora di pranzo. Dentro, sono quasi tutti a torso nudo per il gran caldo. Un gruppetto improvvisa una partita di calcio usando le transenne come porte, la maggior parte è distesa sui materassi di gommapiuma. In attesa di iniziare una nuova vita da richiedente asilo.

 

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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