Chi ci guadagna con l’embargo all’Iran?

È importante chiedersi se veramente l’Iran sta sviluppando la ricerca nucleare al fine di costruire la bomba atomica e se veramente è così necessario intervenire subito per bloccarlo, al costo di prendere iniziative suicide. Innanzitutto, se esaminiamo la situazione interna dell’Iran, il suo desiderio di sviluppare l’energia nucleare a scopi pacifici è del tutto logico e legittimo.
Il Paese sta attraversando una fase di crescita e necessita, come tutti, di fonti di energia. La principale ricchezza è il petrolio che è anche la principale fonte di reddito, quindi se aumenta il consumo interno, occorre limitare l’esportazione e ridurre le entrate, rischiando di bloccare la crescita. A questo punto è del tutto plausibile che si sia pensato di far fronte al fabbisogno interno attraverso il nucleare, mantenendo il livello d’esportazione del greggio e salvando così capra e cavoli.
In questo momento la capacità massima di arricchimento dell’uranio da parte della Repubblica Islamica sembra essere del 20%, mentre occorre giungere al 90% per fabbricare un ordigno nucleare, quindi, ammesso che il pericolo ci sia, non è così immediato. Tehran, proprio qualche giorno prima della decisione di imporre le sanzioni, aveva acconsentito a riprendere i colloqui con il cd Gruppo 5+1, cioè i cinque membri permanenti delle nazioni Unite più la Germania. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) aveva peraltro confermato l’invio di propri ispettori in Iran a fine gennaio per risolvere le questioni in sospeso.
Questa politica contro l’Iran è chiaramente fomentata da Washington per motivi che poco hanno a che vedere con la paura della bomba, ma piuttosto con questioni di equilibrio geo politico in Medio Oriente. Uno sguardo alla carta ci mostra come l’Iran confini con alcune delle aree più calde del mondo: Iraq, Pakistan, Afghanistan, controlla lo stretto di Hormuz ed è alleata con gli Hezbollah libici, quelli, per intenderci, che hanno fermato e di fatto inflitto una seria sconfitta ad Israele nel 2006. Aggiungo che non avendo gli USA alcuno scambio commerciale con l’Iran non hanno nulla da perdere dalle sanzioni, che sono applicate e danneggiano altri Paesi, magari favorendo l’economia statunitense a cui si rivolgono per compensare il mancato afflusso di merci e materie prime dall’Iran.
La questione Iraniana è peraltro abbastanza complessa: basta dire che non c’è pace nel Golfo Persico, in Iraq in Afghanistan e nel Medio Oriente senza l’accordo con Tehran, che è una delle potenze dominanti in questo scacchiere e, senza dubbio, dietro le quinte, Stati Uniti e Repubblica Islamica negoziano.
La questione del nucleare serve quale strumento di pressione contro una delle migliori diplomazie al mondo, le cui origini risalgono agli antichi regni persiani, contro i quali neppure l’impero romano al massimo della sua potenza riuscì a spuntarla.
Naturalmente agli USA brucia il fatto che l’Iran impedisce loro di accedere ai propri mercati, consentendolo invece a concorrenti tradizionali quali Russia, Cina ed Europa. Non è da escludere – e forse questa potrebbe essere una certezza – che se il Governo islamico decidesse di acquistare le tecnologie nucleari e l’uranio statunitense, l’opposizione di Washington si scioglierebbe.
Per concludere mi chiedo, cosa ha avuto l’Europa o almeno alcuni Stati europei, in cambio delle sanzioni che costituiscono un grosso regalo fatto agli Stati Uniti? E questo premio, che certamente vi è o vi sarà, riguarda tutti gli europei o soltanto pochi privilegiati, pensiamo alla vicenda Chrysler-Fiat?

 

Giuseppe Anzaldi

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