Organizzare un concerto di un artista non iscritto alla Siae potrebbe rivelarsi particolarmente difficoltoso. Ne sa qualcosa Cesare Basile, cantautore catanese, che ha deciso di dimettersi dalla società che gestisce i diritti d’autore. Dopo aver deciso, nel 2013, di non ritirare il premio Tenco in solidarietà ai teatri occupati attaccati duramente dalla Siae, Basile rilancia contestando la gestione dell’ente, che svolgerebbe il proprio ruolo anche al di là delle competenze previste dalla legge. «Quando qualcuno prende posizione dà fastidio – dichiara il cantautore a MeridioNews – prendo atto però del silenzio di molti colleghi. Nonostante io abbia deciso di uscire fuori dalla Siae, con una lettera di dimissioni accettate, continuano a chiedere adempimenti burocratici che non spettano ai gestori dei locali per cui suono».
La vicenda di Basile dimostra che, nonostante il regime di monopolio della società, è possibile uscire dal sistema Siae. Eppure, una volta fuori, si è comunque costretti a scontrarsi con una giungla legislativa fatta di regolamenti e interpretazioni. L’accusa di Basile è chiara: in Italia manca un ragionamento condiviso sulla tutela del diritto d’autore e spesso le procedure da attivare per l’organizzazione di un evento variano secondo gli uffici Siae territoriali. «È una vera e propria schizofrenia del sistema – spiega – gli uffici sono centri di potere e decidono, di volta in volta, di dettare le regole. Io mi attengo a quanto previsto per gli autori non iscritti: rilascio una dichiarazione agli organizzatori, sollevandoli da ogni responsabilità, in cui certifico che i miei pezzi non sono tutelati dalla Siae. Dunque alla società non spetta alcun compenso». Spesso però, denuncia Basile, è capitato che agli organizzatori venissero comunque richiesti i cosiddetti borderò Siae.
«Se io stabilisco un compenso per una serata, il mio lavoro è già pagato – aggiunge il cantautore – Perché dovrei guadagnare da questo meccanismo? La legge che tutela il diritto d’autore prevede che la Siae possa rappresentare, come società, il diritto d’autore degli iscritti. Ma la stessa legge prevede che i diritti possano essere tutelati anche individualmente, direttamente dagli artisti. Questo però lo sanno in pochi». E così la maggior parte degli artisti si affidano a quello che, per Basile, è «un meccanismo pachidermico e vecchio». La Siae, che conta oltre 80mila iscritti, non naviga in buone acque da molto tempo. Ci sono poi le polemiche su quello che è stato definito il golpe dei ricchi, e cioè la modifica statutaria del 2011 che prevede il principio di un voto assembleare per ogni euro guadagnato, cosa che di fatto taglia fuori i piccoli associati. «Si usa la scusa della gestione dei diritti d’autore dei molti per mantenere i privilegi dei pochi», commenta il cantautore catanese.
I compensi provenienti dai concerti, ma sopratutto il fondo comune in cui confluiscono i forfait radiotelevisivi della diffusione vengono ripartiti con criteri che, dice Basile, favoriscono gli artisti che vendono di più. A scapito dei più piccoli a cui toccano le briciole. «Bisognerebbe ridiscutere il ruolo dell’artista, del suo reddito». Anche guardando all’estero. «Ci sono esempi di ordinamento, come quello francese, con cui si può essere d’accordo o no, ma che regolano addirittura i periodi di inattività». Ed è scaduto in questi giorni, intanto, il termine per il recepimento da parte dell’Italia della direttiva europea che ridisegna il mercato dell’intermediazione dei diritti. Entrata in vigore due anni fa. Una norma che determinerebbe la definitiva liberalizzazione del mercato, concludendo il regime monopolistico della Siae durato 134 anni.
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