La confessione poi ritrattata, i rilievi dei carabinieri del Ris di Messina nella scena del crimine e gli esisti dell’autopsia. Sono questi i tre elementi principali – concordanti tra loro – su cui si fonda la sentenza di condanna all’ergastolo, dopo due anni di processo, per Christian Leonardi. L’ex guardia giurata è stato ritenuto responsabile dell’omicidio della moglie Eligia Ardita e di avere provocato l’aborto della donna all’ottavo mese di gravidanza. Nelle motivazioni della sentenza viene ripercorsa tutta la vicenda a partire dalla sera della morte dell’infermiera siracusana, il 19 gennaio del 2015, nell’appartamento dove viveva la coppia, al secondo piano di un palazzo in via Calatabiano nel capoluogo aretuseo.
«Colpendola più volte al capo e soffocandola mediante la pressione della mano sulla bocca e sul naso in modo da determinarne il rigurgito del cibo e il conseguente soffocamento per ostruzione delle vie respiratorie», così viene ricostruito il delitto. I giudici, che si sono basati su dichiarazioni dei testimoni e intercettazioni, hanno riconosciuto anche «l’aggravante di avere agito per futili motivi riconducibili a un contrasto sulle modalità di vita familiare, con particolare riferimento all’opportunità (per lui, ndr) di non uscire di casa per recarsi a una sala Bingo».
Eligia si sarebbe opposta all’intenzione del marito di uscire per andare a giocare d’azzardo «scatenando una improvvisa e violenta reazione». Zittita con le mani sul volto e spinta violentemente contro il muro per immobilizzarla, Eligia, mentre si trovava nel soggiorno, avrebbe iniziato a vomitare fino a crollare a terra priva di conoscenza. «Leonardi si rendeva conto di avere commesso qualcosa di irreparabile e, dopo avere riflettuto sul da farsi, decideva di mettere la moglie sul letto, e di fare sparire ogni traccia cambiandole i vestiti sporchi, pulendo le tracce di vomito». Solo dopo chiama i soccorsi e i suoceri. «Il feto che la moglie portava in grembo (che viene descritto come una «bella bambina dal peso di 1,950 chili») con elevato grado di probabilità, si sarebbe potuto salvare se l’imputato, anziché dedicarsi alacremente a cancellare le tracce dell’efferato delitto, avesse richiesto tempestivamente l’intervento del 118».
I soccorritori giunti sul posto trovano la donna sul letto rifatto in posizione supina, coperta da un lenzuolo e con le braccia incrociate sul petto. Addosso ha un maglione bianco a collo alto e i pantaloni del pigiama. Abbigliamento insolito per l’infermiera e comunque diverso da quello indossato durante la cena cui erano presenti anche i genitori di Eligia: un pantalone nero e una maglietta nera a maniche lunghe che non sono mai stati ritrovati. Dagli operatori intervenuti sul posto, Leonardi viene descritto come «nervoso» e «impegnato a parlare al cellulare». In realtà, dall’esame dei tabulati telefonici risulta che avrebbe fatto una sola breve telefonata. Di quanto avvenuto poco prima, l’uomo fornisce tre versioni differenti: riferisce prima di essersi svegliato perché, mentre si trovavano già a letto, aveva sentito la moglie «rantolare», poi dice che si trovava in soggiorno a guardare la tv quando sente la moglie, già in camera da letto, che non respira bene. Nella terza versione la donna «vomitava in soggiorno».
Partono le indagini, l’ipotesi iniziale è che si tratti di malasanità tanto che nel registro degli indagati vengono iscritti gli operatori del 118 che hanno prestato i primi soccorsi, e il ginecologo che aveva in cura la donna. Dall’autopsia emerge, però, che Eligia è morta per asfissia meccanica e che aveva subito, mentre era ancora in vita, un trauma cranico riportando lesioni al capo. L’attenzione si focalizza sul marito. Sposati da meno di tre anni dopo un fidanzamento di oltre otto, apparentemente sarebbero stati una coppia felice.
In realtà, frequenti sarebbero stati i litigi legati alla gelosia e all’abitudine di Leonardi di uscire spesso la sera lasciando sola in casa la moglie, anche durante la gravidanza. È stata la madre a riferire che «Christian alzava le mani» e che dopo i primi mesi del matrimonio la figlia le aveva confidato l’intenzione di separarsi. Idea a cui poi aveva rinunciato per provare a tenere unita la famiglia sperando che la nascita della figlia potesse addolcire il carattere del marito. «Questo se si parte con le mani te ne puoi andare. […] Ti pesta, le ossa del corpo ti spezza». È il contenuto di una conversazione intercettata all’interno della macchina di Leonardi che è il soggetto della frase pronunciata da uno dei due amici che si trovano sull’auto insieme a lui.
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