Bracconaggio, business miliardario in Africa Così i terroristi islamici finanziano le cellule

L’assedio dello scorso settembre al Westgate Mall, uno dei centri commerciali più esclusivi di Nairobi, mostra come il terrorismo fondamentalista di matrice islamica sia ancora presente e continui a operare. L’Europa probabilmente non ha percepito la minaccia incombente data la distanza geografica col vecchio continente, anche se oggi i fatti che accadono in Africa hanno sempre maggiori ripercussioni sull’Europa. L’attentato – costato la vita a 72 persone, che ha visto impiegate ingenti forze militari e l’intervento degli israeliani e che si è concluso con un’esplosione dinamitarda di cui non è stato fatto cenno sui giornali nazionali italiani – era rivendicato dal gruppo Al Shabaab ovvero La Gioventù.

L’organizzazione terroristica in questione, una volta confinata solo in Somalia, prende ora una dimensione sempre più transnazionale soprattutto dopo la sua affiliazione, nel 2012, ad Al-Qaeda e grazie alla provenienza degli affiliati: come dimostrano le nazionalità sui passaporti, quasi del tutto statunitensi e nord europee, in particolare Svezia, Norvegia, Danimarca. Fonti di sicurezza nazionali stimano diverse migliaia di miliziani Shabaab operanti in Scandinavia fra cui diversi assi come Abu Muslim, giunto in Europa negli anni ’90 tramite richiesta di asilo e ottenendo la residenza dopo. Questi gruppi, quindi, si sono istaurati dopo i flussi migratori del ’91 all’epoca del governo repressivo di Siad Barre.

Per mantenere in piedi e far funzionare la macchina terroristica servono ingenti finanziamenti, non di sole droghe e armi, bensì l’attività di bracconaggio che fornisce il 40 per cento delle risorse economiche. Per conoscere qualche dettaglio in più sull’attività condotta dai bracconieri e quali ripercussioni, spesso sottintese, possono avere non solo a livello locale, bensì globale, abbiamo chiesto a Davide Bomben – direttore del Training Department della Poaching Prevention Academy -, che si occupa appunto della formazione di operatori specializzati nel contrasto al bracconaggio, presidente dell’associazione italiana esperti d’Africa.

L’attività di bracconaggio quanto può fruttare in termini monetari ?
«Il bracconaggio è il quarto business illegale più lucrativo dopo le armi, la droga e gli esseri umani (compresa prostituzione, schiavitù e traffico di organi, ndr), un mercato difficilmente comprensibile se non attraverso dei semplici calcoli. Il prezzo alla vendita dei due prodotti più lucrativi derivanti dalle attività legate al bracconaggio sono: 800 dollari al chilo per le zanne d’avorio (circa 30 chili a zanna) e 60mila dollari al chilo per corno di rinoceronte (più o meno sette chili per due corna). Kenya e Tanzania hanno recentemente dichiarato di aver perso oltre 30mila elefanti in cinque anni pari a un introito finale di un miliardo e 440 milioni. Nel solo Sudafrica negli ultimi cinque anni sono stati uccisi 2.370 rinoceronti pari ad un introito finale di quasi un miliardo. Anche ipotizzando che solo l’un per cento possa essere andato in tasca a organizzazioni così capillari come quelle terroristiche, stiamo parlano di cifre immense capaci di muovere moltissimo in un continente così ampio e diversificato come l’Africa».

Come agiscono i bracconieri?
«Un tempo i bracconieri erano disperati alla ricerca di un facile guadagno, oggi sono operatori specializzati, per lo più ex milizie, assoldati per compiere una missione ad alto lucro. Il bracconaggio si è evoluto, dalle infradito ai piedi all’infrarosso sul fucile in dieci anni circa. Oggi le squadre di bracconieri sono dotate di armi pesanti oppure di fucili Ak che scaricano raffiche sugli animali prima di privarli di corna e zanne. Ultimamene i bracconieri si dotano di medicinali paralizzanti che possono essere sparati da fucili ad aria compressa e non fanno alcun rumore. Moltissimi rinoceronti perdono la vita in Sudafrica con questi mezzi. Spesso i bracconieri ricevono informazioni da personale che vive e lavora nei parchi e nelle riserve e, più in generale, il 95 per cento dei casi di bracconaggio sono attivati da internal jobs».

E vero che usano avvelenare le acque come alternativa ai proiettili?
«Come detto il bracconaggio si è evoluto e l’uso ed efficacia di cianuro non è un segreto ben protetto. Ultimamente abbiamo riscontrato un forte aumento di casi di avvelenamento, sia delle pozze dove gli elefanti e rinoceronti vanno ad abbeverarsi sia delle carcasse degli animali uccisi. In questo modo anche gli avvoltoi che si cibano di carogne moriranno, evitando così di allarmare le unità di sorveglianza dislocate sul territorio che spesso utilizzano i segnali della Natura per reagire ai casi di bracconaggio».

Quali risorse servono per combattere questo fenomeno?
«Le stesse che servono per fermare qualsiasi altro crimine. La lotta al bracconaggio non deve essere vista come il progetto di uno squinternato gruppo di animalisti vegani, ma come un rischio economico e sociale. Paesi che non hanno più una fauna selvatica hanno perso l’interesse del turismo internazionale che in Africa da un lavoro a tre milioni di persone e impiega, nell’indotto, almeno il triplo del personale. Perdere specie totemiche come il rinoceronte o il leone significherebbe un danno ecologico, ma anche d’immagine, per Paesi che hanno un Pil fortemente supportato dal turismo. Per farla breve, la nostra non è una battaglia per divertimento o per convinzioni etiche, ma una ferma intenzione di difendere la biodiversità dei Paesi dove operiamo e la volontà di preservare posti di lavoro».

Quali rotte commerciali segue l’avorio?
«I bracconieri sono strumenti di gruppi criminali ben organizzati. Ambasciatori e funzionari politici asiatici fungono spesso da corrieri. Lance veloci solcano i mari a poche miglia dalle coste sudafricane per intercettare le navi mercantili che scambiano le corna con droga e armi. I porti di Mombasa e Dar sono tempestati da container carichi di zanne di elefanti, ossa di leoni e corna di rinoceronti: un porta-container trasporta migliaia di casse e un solo porto ne ha milioni. Una mancia qui ed una mazzetta lì e il container con le corna sparisce e non se ne sa più nulla. Ciò che sappiamo è che le rotte sono tutte Ovest-Est, ovvero dall’Africa all’oriente, con Cina, Thailandia e Corea come acquirenti principali di tali prodotti».

A cosa serve l’avorio e quale tipo di cliente raggiunge?
«I compratori sono ricchi cinesi e vietnamiti che usano l’avorio per la produzione di costosi monili e parti dell’arredamento, anche delle auto, mentre la polvere del corno di rinoceronte è usata come panacea dei più disparati mali come l’impotenza e il cancro sino al post sbronza. La polvere derivata dal corno di rinoceronte è usata anche come elemento in più per tagliare la cocaina, in questo modo la droga vale il triplo grazie all’aggiuntina».

Quali risultati ha raggiunto la vostra associazione?
«Quando ero piccolo mio padre mi portava spesso in Africa e gli promisi che avrei fatto di tutto per salvare i nostri amati animali. Oggi lo faccio in molti modi ma ho capito che non si possono salvare tutti. Una riserva privata in Sudafrica non ha mai avuto problemi fino a quando il nostro team Falcon era presente, ma il contratto non è più stato confermato e, dopo tre mesi, tre rinoceronti hanno perso la vita. Il risultato più importante è che nessuno degli animali custoditi nelle riserve dove opera il team è mai stato ucciso. Anzi, non ci sono mai stati tentativi reali di aggressione nei confronti delle nostre riserve poiché l’effetto deterrente che riusciamo ad attivare è così forte da farci dormire sonni quasi tranquilli».

[Foto di Riccardo Tosi]

Alessio Tricani

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