Il depistaggio c’è stato. La corte d’assise d’appello di Caltanissetta conferma in toto la sentenza emessa dalla corte d’assise il 20 aprile del 2017. Tutti condannati, quindi. E di nuovo salvo Scarantino. Questa la decisione dei giudici, dopo ore di camera di consiglio, che mette un punto al processo di secondo grado Borsellino quater sulla strage di via D’Amelio. Alla sbarra i boss palermitani Vittorio Tutino e Salvo Madonia, per i quali viene riconfermato l’ergastolo, insieme ai finti pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, condannati rispettivamente a dieci anni per calunnia, proprio come nel 2017. E, infine, Vincenzo Scarantino, per cui viene considerato estinto per prescrizione il reato di calunnia. La pg Lia Sava, alla fine della sua requisitoria, aveva chiesto proprio la conferma delle condanne di primo grado. «La sentenza conferma l’impianto e la ricostruzione fatta sia dalla procura di Caltanissetta in primo grado – commenta a caldo la pg -, poi recepita e ampliata nel secondo grado. Adesso leggeremo le motivazioni, ma tutto fa pensare che l’impianto solido della sentenza di primo grado sia stato in toto recepito. Questo significa la possibilità del proseguimento degli ulteriori sviluppi delle indagini e quindi la possibilità di arrivare a un Borsellino quinques».
«Confidiamo che il tempo trascorso, la lucidità e l’opera condotta all’unisono consentiranno, appunto, di arrivare alla verità», aveva detto proprio nel suo discorso conclusivo la procuratrice generale. Dopo anni di depistaggi, la svolta arrivò con le dichiarazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza che, nel 2008, permise di riaprire sulla strage di via d’Amelio un nuovo filone di indagini. A causa delle dichiarazioni rese dai falsi pentiti, sette persone innocenti furono condannate ingiustamente all’ergastolo e poi scarcerate. Mentre, sempre a Caltanissetta, nell’ambito della strage di via d’Amelio e delle indagini depistate, sul banco degli imputati ci sono adesso anche tre ex funzionari dello storico gruppo Falcone-Borsellino: Mario Bo, Matteo Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di aver avuto un ruolo nella creazione e nella manipolazione del finto pentito Scarantino. Devono rispondere di concorso in calunnia aggravata. Stessa accusa rivolta anche due ex pm del pool che investigò sull’attentato del 19 luglio ’92, Carmelo Petralia (oggi alla procura di Catania) e Annamaria Palma (avvocata generale a Palermo). La procura di Messina li ha di recente iscritti nel registro degli indagati per chiarire se abbiano avuto un ruolo in quello che è stato definito «il più grande depistaggio della storia italiana».
Questa la definizione usata dal giudice della corte d’assise Antonio Balsamo nelle oltre mille pagine di motivazione della sentenza di primo grado. A testimonianza anche di quel lavoro enorme e minuzioso svolto dai giudici. «I magistrati devono continuare a raccogliere prove certe di responsabilità penali che consentano di addivenire a sentenze definitive di condanna per tutti coloro, anche in ipotesi, esterni a Cosa nostra, che possono avere concorso, a qualunque titolo, e per qualsivoglia scopo, alla realizzazione della strage di via D’Amelio e che, successivamente ai tragici eventi, possono avere mosso i fili, in maniera da determinare il colossale depistaggio delle relative indagini», aveva detto, sulla stesa scia del giudice Balsamo, anche la pg Sava nella requisitoria. Stesso assunto alla base di un altro processo, quello sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, che si celebra in corte d’assise d’appello a Palermo e che vede sul banco degli imputati boss mafiosi insieme a personaggi e funzionari delle istituzioni.
Un processo che potrebbe, anche quello, spiegare se davvero (e in quel caso perché) ci fu un’accelerazione nella decisione di eliminare Paolo Borsellino, a detta della pg. Sullo sfondo, appunto, di trattative segrete e l’archiviazione di un fascicolo d’indagine come quello su mafia-appalti, sul quale invece sia Falcone che Borsellino puntavano molto. «L’Italia ha estremo bisogno di conoscere ogni frammento del contesto, delle causali, degli autori delle stragi e ciò non solo al fine di meglio comprendere cosa accadde davvero in quegli anni, allorché venne sferrato il più violento degli attacchi alla nostra democrazia», aveva detto sempre la pg nella requisitoria. Con la sentenza emessa oggi si aggiungono altri pezzetti di verità a una strage che ancora, dopo 27 anni, appare drammaticamente piena di lacune, buchi neri e ambiguità. Per le motivazioni della sentenza si dovranno attendere 90 giorni.
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