Bilancio 2015: si salvano sanità, dipendenti e Ars Sono i soli settori dove non è previsto il crollo finanziario

C’è chi dice che, alla fine, i parlamentari di Sala d’Ercole approveranno l’esercizio provvisorio entro il 31 dicembre, perché altrimenti sarebbero i primi a restare senza stipendio a gennaio 2015. Ma c’è anche chi dice che la convocazione di domani della Commissione Bilancio e Finanze non caverà un ragno dal buco, ammesso che i deputati si presentino di domenica. 

Forse è molto più ragionevole pensare che qualcosa si potrà fare lunedì prossimo. Ma cosa? Lo scenario parlamentare è critico. L’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, qualche giorno fa, ha detto che il Bilancio 2015 della Regione è stato finanziato per quattro dodicesimi. Leggendo il testo ci si accorge che non è così per tutti. Ci sono almeno tre eccezioni per le quali, almeno sulla carta, è previsto il finanziamento per intero. 

La prima eccezione è rappresentata dalla sanità che, per la parte che compete alla Regione – circa 6 miliardi e mezzo di euro (gli altri 2,2-2,3 miliardi di euro sono a carico dello Stato) – sempre sulla carta, sembra finanziata per intero. Magari non sarà così, magari ci saranno, effettivi, non meno di 4 miliardi di euro. Ma c’è la volontà di tutelare il settore. Anche perché il Governo Renzi non ha ancora il potere di abolire le malattie con un decreto-legge. E se in Sicilia si fermano gli ospedali si blocca tutto il resto. 

La seconda eccezione è rappresentata dai dipendenti della Regione. Anche per loro il finanziamento è completo. Magari non ci saranno i soldi per i contratti integrativi dei dirigenti. Forse – questo non l’abbiamo ancora capito – non ci saranno i soldi per pagare tutti i mille e 800 dirigenti regionali. Ma, bene o male, questo settore è dentro. 

La terza eccezione è rappresentata dall’Ars. E non potrebbe essere altrimenti: se si blocca quest’istituzione chi è che dovrebbe approvare il Bilancio 2015?

Il resto della manovra sembra il paesaggio dopo la battaglia: morti di qua, feriti di là. Per quello che si può capire, il Bilancio regionale del prossimo anno decurta non meno di 2 miliardi di euro dai capitoli a legislazione vigente. Per capirci: siamo davanti a una carneficina economica e sociale. La violazione del principio di universalità del bilancio è pressoché totale.   

Tutti questi capitoli sostenuti da leggi sono finanziati per quattro dodicesimi (sulla carta, perché in termini di cassa la situazione potrebbe essere ancora più negativa: nasconderlo sarebbe inutile). I Comuni dell’Isola, tanto per citare un esempio – che già sono allo stremo e che, in molti casi, hanno anticipato con scoperture di tesoreria le retribuzioni del personale precario – perdono 200 milioni di euro. Se a tale taglio sommiamo i tagli nazionali sarà inevitabile, già a partire da gennaio, assistere a una pioggia di Comuni in dissesto finanziario.

I tagli riguardano un po’ tutti i settori della vita pubblica e sociale della Sicilia: forestali, agricoltura (questo settore si potrebbe salvare con la Programmazione comunitaria 2014-2020, ma non il prossimo anno), beni culturali, ambiente e via continuando. 

La domanda è: come dovrebbero essere finanziati i restanti otto dodicesimi del Bilancio 2015? L’assessore Baccei, la scorsa settimana, si è rifugiato dietro la parola «riforme». Che tradotto significa risparmi. Ma risparmiare su che cosa? 

Il Governo Renzi ha letteralmente massacrato la nostra Regione. Si è preso un miliardo e 350 milioni di euro quest’anno. Si terrà, per il 2015, un miliardo e 200 milioni di euro dalle entrate nella Sicilia (per lo più da Iva e Irpef). E non si sa ancora quanto si tratterrà dai fondi del Pac, il Piano di azione e coesione (la penalizzazione dovrebbe oscillare da 600 milioni a un massimo di un miliardo di euro circa). 

Quelle che l’assessore Baccei chiama «riforme», alla fine, non sono altro che tagli: eliminazione fisica delle Province con i dipendenti di questi enti in incredibile cassa integrazione; scomparsa, sostanziale, di centinaia di Comuni siciliani; licenziamento di migliaia di precari; demansionamento sostanziale dei dipendenti regionali (a cominciare dalla dirigenza); dimezzamento, bene che vada, dei forestali, con il tentativo di fare pagare il pensionamento all’Inps, che dovrebbe respingere la proposta; tentativo di sbolognare i pensionati della Regione sempre all’Inps, che dovrebbe opporsi; riduzione drastica dei fondi a Parchi e Riserve naturali; ulteriore abbandono dei beni culturali e via continuando. 

Con molta probabilità, leggendo questo articolo in tanti ci prenderanno per matti. Perché in Sicilia non c’è ancora la consapevolezza di quello che sta succedendo.  

In tutto questo, grazie alla lungimiranza del presidente della Regione, Rosario Crocetta, la Sicilia non potrà far valere a Roma gli effetti positivi di alcune sentenze della Corte Costituzionale favorevoli alla nostra Isola. Questo in virtù di uno sciagurato accordo a perdere firmato dal nostro governatore la scorsa estate. 

Il presidente della Regione, nei giorni scorsi, ha provato a scaricare sul passato i drammi finanziari di oggi. Ma i numeri gli danno torto: i responsabili principali dell’attuale sfascio finanziario della Regione sono lui e Renzi. Il resto sono chiacchiere. 

Per fronteggiare un buco di cassa di oltre 5 miliardi di euro e un buco di competenza di 2 miliardi (che, in realtà, forse sono di più), più l’incredibile taglio dei fondi Pac, la Regione dovrebbe approvare, prima del Bilancio, un folle disegno di legge per indebitare famiglie e imprese siciliane di altri 2 miliardi di euro. Soldi che servirebbero solo al Governo Crocetta per arrivare tra mille stenti alla fine del prossimo anno. 

All’orizzonte non si vede altro.       

Giulio Ambrosetti

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