A chiudere DeScritto, festival dell’editoria indipendente a Catania, “L’enigma di Attilio Manca. Verità e giustizia nell’isola di Cosa Nostra” tradotto da Olga Nassis.
Il libro dello scrittore catalano Joan Queralt, uscito in Spagna nel 2008, racconta della morte di Manca, affermato urologo italiano, come di un possibile delitto mafioso. Mentre all’estero riscuote numerosi consensi di pubblico e di critica, trascorrono ben due anni prima che qualcuno lo traduca e pubblichi in Italia: troppo scomodo per troppe persone. E adesso che è stato pubblicato pare che le minacce e lettere di diffida non manchino.
«In realtà questa presentazione non avrebbe dovuto aver luogo» esordisce l’editore di Terre libere.org Antonello Mangano, che si è preso la responsabilità di questa travagliata pubblicazione. «O almeno, l’intenzione del legale del dott. Franco Cassata, nonché Procuratore Generale di Messina, era quella di bloccare questa presentazione». E continua spiegando che si è sin da subito interessato al libro “L’enigma di Attilio Manca” essenzialmente per due motivi: uno di ordine etico e uno di ordine editoriale perché si tratta di una storia d’importanza nazionale e che quindi dovrebbe avere una larga diffusione.
Attilio Manca era un giovane urologo di successo. Nato a San Donà di Piave (Ve) da genitori siciliani che si trovavano in veneto per lavoro ma dopo cinque anni la famiglia si trasferisce a Barcellona Pozzo di Gotto, città natale. Dopo essere stato ammesso alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, si trasferisce a Roma per gli studi universitari e si laurea nel 1995 con il massimo dei voti. Lo stesso anno entra nella scuola di specializzazione di urologia diretta dal prof. Gerardo Ronzoni. Le doti di Attilio sono veramente formidabili, così il professore lo inserisce subito nel suo studio privato e lo avvia immediatamente alla professione chirurgica. A trentaquattro anni è già un luminare: solo un altro medico in Italia, oltre a lui, effettua l’intervento alla prostata per via laparoscopica. Nel 2002 vince il concorso presso l’ospedale Belcolle di Viterbo ed è al Belcolle che l’11 novembre dello stesso anno intraprenderà la sua attività di urologo. Una vita normale quella di Attilio, seppur costellata di numerosi successi professionali, che nessuno avrebbe mai pensato potesse interrompersi così bruscamente. Trovato morto il 12 febbraio 2004 nella sua abitazione di Viterbo, seminudo, pieno di lividi, con il setto nasale deviato, due segni di iniezione sul braccio sinistro, sdraiato sul suo letto in una pozza di sangue. La relazione autoptica attestò la presenza nel sangue e nelle urine di eroina, di un consistente quantitativo di Diazepam, principio attivo contenuto nel sedativo Tranquirit, e di sostanza alcoolica. Inizialmente il caso era stato archiviato come suicidio per overdose seppur tanti sono gli elementi che fanno risalire con certezza ad un omicidio, ad un omicidio di mafia. La famiglia del medico non ha mai creduto al suicidio di Attilio perché era un ragazzo che amava profondamente la vita (pochi giorni prima di morire aveva comunicato ai genitori di voler chiedere un mutuo per comprare casa a Viterbo). I genitori della vittima, dunque, non si sono mai fermati, si sono rivolti alle televisioni nazionali (“Chi l’ha visto”- Rai Tre, “Complotti” – La7; Tg5, Rai Uno, Rai Due) e hanno partecipato a manifestazioni anti-mafia.
Nel suo scritto Joan Queralt recupera tutte le fonti, fa delle ricerche accurate, ricostruisce ogni dettaglio proponendosi quasi come un investigatore, non preoccupandosi di fare nomi e cognomi degli indagati, dei mafiosi che potrebbero essere coinvolti, del super-boss, latitante dei latitanti a quel tempo, Bernardo Provenzano. Il lavoro di Queralt è già stato presentato a Milazzo e a Barcellona Pozzo di Gotto, inutile dire che anche le librerie delle due città e dei paesini limitrofi che hanno preso il libro sono state diffidate. Eppure non si tratta di un testo diffamatorio ma di un testo estremamente preciso che si basa su prove e fatti. La parola “enigma” presente nel titolo, infatti, è nello stesso tempo un modo per far incuriosire un potenziale lettore che cerca il mistero, e un’antifrasi vera e propria perché di enigmatico in questa storia, secondo lo scrittore, c’è davvero poco.
Eppure di irrisolto in questa vicenda par esserci ancora molto. Perché dopo quasi sette anni dalla morte del giovane medico siciliano non è stata ancora fatta giustizia? Perché il caso rischia una terza archiviazione alla Procura di Viterbo?
Alla presentazione erano presenti i genitori di Attilio, Angelina Gentile e Gino Manca, e il fratello Luca che ha preso la parola dopo l’editore. «Mio fratello prima di suicidarsi si sarebbe picchiato con rabbia procurandosi ecchimosi in tutto il corpo, si sarebbe dato un forte pugno in viso deviandosi il setto nasale, e infine si sarebbe iniettato un mix mortale sul braccio sinistro, lui che è un mancino puro». Un suicidio che ricorda quello di Peppino Impastato. «Vi starete chiedendo perché parliamo di omicidio di mafia; bene, sappiamo con certezza che Bernardo Provenzano si trovava a Marsiglia negli stessi giorni in cui mio fratello era lì per assistere ad un intervento chirurgico. Il boss aveva problemi alla prostata». Dall’inchiesta che porta alla maxi operazione antimafia denominata “Grande Mandamento” emerge, infatti, che Bernardo Provenzano è stato a Marsiglia il 7 e il 10 luglio 2003 per sottoporsi a controlli e per subire un’operazione.
Un’altra coincidenza può essere legata all’impronta del cugino di Attilio, Ugo Manca, rinvenuta nell’abitazione della vittima. Non proprio un “bravo ragazzo” considerando che è pregiudicato per detenzione abusiva di arma e condannato in 1° grado per traffico di droga, oltre che vicino a molti personaggi di interesse investigativo. Interrogato, si giustifica sostenendo di essersi trovato a casa del cugino a dicembre. Attilio, però, aveva ospitato in un periodo successivo i suoi genitori, aveva organizzato cene con gli amici. Eppure è stata trovata solo l’impronta del cugino.
La famiglia di Attilio Manca non si è mai rassegnata e persegue con forza la verità, unico obiettivo di chi si è sentito rubare un figlio, un fratello. A questo allude l’immagine simbolica sulla copertina del libro: l’affresco del Trionfo della Morte conservato nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. La morte di Attilio vuole avere giustizia.
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