Arte contenitore, arte contenuto

Il movente di questo intervento è la noia, vista sia come opportunità creativa in mancanza d’altro da fare, ma anche e soprattutto come uggia da fruitore culturale. Negli ultimi tempi ho frequentato più che in passato cineforum, proiezioni di cortometraggi, spettacoli teatrali, letture pubbliche di racconti, e quanto altro abbia a che fare con un rapporto opera – spettatore. Questo intensificarsi della mia vita culturale è nato come una risposta ad una mia precisa esigenza di fuga da un mondo che è troppo chiuso entro i confini del pratico sopravvivere, e quindi ogni mio incontro con un evento artistico di qualsiasi genere è stato concepito con entusiasmo e aspettativa che, fortunatamente, molto spesso hanno trovato riscontro nella realtà delle emozioni che l’evento stesso ha suscitato in me. Talune volte però un sentimento di noiosa e inesorabile detenzione si è impossessato di me, e questa detenzione è divenuta ancora più frustrante quando, una volta terminata la rappresentazione, sembrava fossi l’unico essere, trai tanti accorsi per l’occasione, ad avere subito questa affabulazione inversa, questo odioso tedio da recluso. Le domande sono sorte spontanee, e senza andare a scomodare teorie ardite di estetica, o discussioni su temi universali (o non) quali la bellezza o la sublimità di un’opera d’arte, ho cercato di individuare il difetto specifico delle opere in questione, e alla fine ho notato un elemento che ha accomunato tutte queste esperienze sotto l’inesorabile etichetta della mia uggia da fruitore culturale.

Il titolo dell’intervento è “Arte contenitore, Arte contenuto” ed è proprio su questo che la mia riflessione si vuole fermare. Innanzitutto partirei da una definizione assolutistica (non ho detto assoluta intenzionalmente): nella vita o si è artisti o non lo si è. Facile, immediato, senza nessuna possibilità di discussioni soprattutto per chi pone la questione in questi termini. Continuando: se si è artisti è necessario che si sia capaci di creare un’opera che si possa ascrivere alla categoria dell’artistico, ed è anche vero che non necessariamente tutto ciò che l’artista produce sia opera d’arte. Viceversa, seguendo il filo assolutistico della questione, se non si è artisti è necessario che non si sia capaci di creare un’opera che si possa ascrivere alla categoria dell’artistico, e qualora avvenisse si dovrebbe ritenere una pura combinazione di eventi casuali del tutto indipendenti dalla volontà del non artista.

A questo punto il problema è quello dell’identificazione dell’artista stesso, ovvero quello della consapevolezza che va a sconfinare spesso nella mitomania, o più semplicemente nella forzatura, quando artisti non si è.

Spesso ci si trova nella condizione di volere costruire un’opera d’arte senza essere realmente capaci di farlo, ma solamente confidando in una conoscenza del settore, ovvero una cultura specifica ottenuta con immenso impegno. Ed è così che nascono opere che vogliono dare un messaggio senza essere in grado di farlo realmente. Lo pseudoartista, con la sola conoscenza tecnica del mezzo espressivo scelto, crede di poter affidare un messaggio chiaro e fondante per l’umanità ma ottiene solamente la vivida impressione della noia, magari talvolta il riconoscimento dei suoi simili (la categoria degli pseudoartisti), ma mai l’opera d’arte nel senso più proprio del termine. L’opera d’arte è innanzitutto contenuto, messaggio di per sé, non contenitore di quello che l’artista “avrebbe voluto dire”. Se c’è contenuto c’è poco da discutere, in qualche modo il fruitore ne è colpito senza bisogno di una intermediazione ermeneutica. Può succedere che non ci sia univocità di comprensione, ma c’è certamente la veicolazione, se non di un messaggio, almeno di uno stato emotivo. Venendo alla produzione pseudoartistica a me sembra che si debba parlare, volendo essere generosi, di arte contenitore, o meglio ancora di artigianato culturale, che può avere delle valenze del tutto legittime, ma che nella realtà dei fatti sfugge a qualunque attribuzione di valore artistico.

Tirando le somme, la noia derivata da certi spettacoli è dovuta principalmente a un difetto proprio dello spettacolo, quello cioè di volere veicolare un messaggio al di là della capacità di farlo secondo canoni artistici, il volere dire qualcosa senza essere in grado di farlo con la capacità di affabulare o di penetrare nell’intimo dello spettatore, senza smuovere alcun tipo di emozione positiva o negativa, se non una noia angosciante che ti fa pregare in silenzio che tutto finisca quanto prima, nell’istante successivo, ora, subito, daiii… Non finisce più!

Gianni Raniolo

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