«Le politiche industriali degli ultimi 20 anni in Italia hanno portato solo disastri. E gli effetti sono sotto gli occhi di tutti». Roberto Mastrosimone, leader della Fiom Cgil Sicilia, non usa giri di parole. Per lui le vertenze dei Cantieri navali di Palermo, dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese, dell’Ansaldo Breda di Carini sono tutte facce della stessa medaglia: «L’incapacità di creare una prospettiva di sviluppo» spiega a Meridionews. Oggi in piazza, a Palermo, ci sono i lavoratori di Fincantieri e dell’indotto. A proclamare lo sciopero è stato proprio il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, che ha chiamato a raccolta le tute blu davanti alla Prefettura. Un sit-in pacifico, a partire dalle 9, per denunciare «la situazione drammatica» del cantiere palermitano, dove a metà giugno potrebbero chiudersi i cancelli.
A fare paura è la prospettiva, nemmeno tanto remota, di una nuova ondata di cassa integrazione e il ridimensionamento del cantiere. Così per otto ore gli operai hanno deciso di incrociare le braccia. Al prefetto, Francesca Cannizzo, chiedono un intervento presso le istituzioni per scongiurare gli ammortizzatori sociali. «La Sicilia rischia di perdere tutte le aziende con strutture industriali importanti, quelle che creano dinamismo ed occupazione, quelle che fanno economia – dice Mastrosimone -. Tra crisi, politiche industriali mancate e incapacità della politica assistiamo alla tempesta perfetta e a pagarne il costo, ormai insostenibile, sono i lavoratori, sempre più soli».
Sul banco degli imputati, per il sindacato, ci sono anche gli inquilini di Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale siciliana. Ai parlamentari le parti sociali contestano il taglio dell’emendamento, durante la discussione della Finanziaria, che assegnava 15 milioni alla realizzazione del bacino di carenaggio da 80 mila tonnellate. «Il mancato provvedimento – spiegano – comporterà la perdita degli ulteriori finanziamenti europei. A questo punto il governo ci dovrà dire cosa intende fare e se vuole porre rimedio e salvare il Cantiere navale e il lavoro a migliaia di persone».
«Da un lato Fincantieri continua a ripetere che senza la realizzazione del nuovo bacino non saranno garantiti i livelli occupazionali e il futuro dello stabilimento – denunciano il segretario della Fiom Cgil di Palermo, Angela Biondi, e l’Rsu Fiom Fincantieri, Francesco Foti – . Dall’altro lato, c’è l’emendamento affossato in Aula. Ci ritroviamo in mezzo a una diatriba tra le istituzioni, che ci hanno abbandonati, e Fincantieri che ci tiene in sospeso». Alla Fiom l’azienda avrebbe annunciato l’assenza di commesse e carichi di lavoro. «La prima officina, dove si compongono i pannelli per realizzare i blocchi delle navi – dicono ancora Biondi e Foti -, ha visibilità di lavoro fino a fine maggio. E l’officina tubisti, dove si realizzano i tubi per montarli poi a bordo, fino a metà giugno. Tutto questo mentre sappiamo che Fincantieri ha un pacchetto di ordini che darà lavoro fino al 2020 a tutti i siti italiani». Ad eccezione di Palermo. Non solo. I lavoratori del cantiere palermitano chiedono il rinnovo del contratto integrativo, che Fincantieri ha disdetto. Per loro, infatti, il salario è decurtato: circa 3.500 euro in meno all’anno, l’ammontare dei premi di efficienza, produttività, programma.
«In Sicilia prendiamo mazzate da 15 anni – conclude Mastrosimone -. Continueremo a batterci. Il problema, però, è che queste battaglie hanno tutte un unico comune denominatore: lottiamo per difenderci, per tutelare l’esistente, ma all’orizzonte da anni non ci sono prospettive diverse. E di crescita nemmeno si parla».
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