Andrea Galatà, attore da Catania a Roma «Tornare in città è una grande emozione»

«Lee Strasberg, che è stato direttore artistico dell’Actors studio, nel suo diario scrive che da giovane la sua più grande fonte d’ispirazione sono stati Eleonora Duse e Giovanni Grasso, due italiani, uno catanese». Se si chiede ad Andrea Galatà – che domenica ha vinto il premio come miglior attore al Catania Film Festival – quale sia il clima artistico del capoluogo etneo, lui cita il maestro di Al Pacino. «Basta questo per capire il fermento culturale di questa città», dice. Trentatré anni, «catanese con la scoccia», laureato in Giurisprudenza, da dieci anni a Roma, Andrea Galatà è tornato all’ombra dell’Etna per presentare il suo ultimo film – tutto siciliano – Un uomo nuovo. E per farsi premiare. «Ho sfatato il proverbio secondo il quale nessuno è profeta in patria – afferma – Perché questa grande gratificazione è arrivata proprio nella mia terra, e questo l’ha resa forse più emozionante».

Nel mondo dello spettacolo dall’età di 15 anni, Andrea vuole unire l’impegno artistico con quello politico. Delegato sindacale e occupante del teatro Valle nella Capitale, «mi sono sempre impegnato per i diritti dei lavoratori come me, lontano da qualunque bandiera politica». Nella recitazione ha trovato la quadratura del cerchio: «Interpreto storie, anche di impegno sociale». Nella pellicola grazie alla quale è stato giudicato il miglior attore del festival cinematografico etneo, Galatà fa la parte Rosario Roccese, «il giovane candidato sindaco nel paese inventato di Monsalso, in cui si ripropongono, in piccolo, tutti i grandi temi mondiali». Ci sono i banchieri che governano tutto eppure non si fanno mai vedere, c’è un parroco che ha le mani in pasta ovunque, c’è la politica che cerca e ottiene accordi con gli imprenditori. «E poi ci sono io – ride il protagonista – che faccio il politico e sono un estremista, puro ma non onesto».

Interamente girato in varie località siciliane, Un uomo nuovo non è il primo lavoro di Andrea nella sua terra. «Ho fatto Baci salati, di Antonio Zeta, e il 9 marzo uscirà al cinema Native (del regista e direttore artistico del Festival John Real) che ha Catania come sfondo». Il resto del lavoro, però, è per lo più a Roma. «È il posto in cui ho fatto tanti corsi e lavorato di più, ed è normale che formazione ed esperienza costituiscano un patrimonio, anche di contatti». Ma quello che vede attorno a sé non sempre gli piace. «C’è un grosso deficit meritocratico, si è poco incentivati a studiare – sostiene – Negli ultimi cinque, sei anni ho notato che c’è sempre meno voglia di imparare». Colpa della televisione, soprattutto di quella commerciale. E dei produttori che, secondo lui, calcolano perfino la mediocrità. «In tv fa audience il personaggio incapace, perché fa leva sulla frustrazione di persone normali che non si sentono realizzate e che, a vedere gente come loro sullo schermo, si confortano dicendosi “Potrei farlo anche io”». E le agenzie lo sanno. «Si campa di pubblicità – spiega – e la pubblicità è diretta alle masse. È questo che crea un livellamento verso il basso».

E parlando ancora del suo mestiere arriva all’esperienza del teatro Valle occupato. «Occuparlo era anche occuparsene – sorride – Anche perché come si fa di questi tempi a stabilire cosa sia giusto e cosa invece no?». Per questo, a metà dicembre, è tornato a Catania per vedere l’occupazione del teatro Coppola: «L’ho vissuta con grande partecipazione, sapevo che anche qui c’era un grande movimento». Il problema di queste occupazioni, secondo lui, è uno solo: «Come si fa a non fallire, sul lungo periodo?». In fondo, «negli anni Settanta si occupava qualunque cosa, ma sono stati fatti degli errori. Come facciamo a non ripeterli?». La risposta non la conosce: «La cerco, provo, sbaglio, vado a tentativi». Fino a questo momento – dice – gli è andata bene. A Roma. E la Sicilia? «Sono molto affezionato alle mie radici, ma l’urgenza della mia generazione è cercare la realizzazione personale». Il capoluogo etneo, per ora, non dà la possibilità di trovarla. «Ho diritto a comprare una casa, a fare un figlio, a lavorare e a cercare di fare al meglio il mio mestiere, ai più alti livelli – s’infervora – Catania non è il posto in cui posso creare tutto questo». Adesso, «in futuro chissà».

[Foto di Marcello Norbert]

Luisa Santangelo

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