Ci sono altri quattro fermi nell’ambito delle indagini sulla sparatoria di martedì scorso, quando un commando ha esploso diversi colpi d’arma da fuoco contro Giuseppe Colombo e i figli Antonino e Fabrizio.
Le indagini sono coordinate dalla Dda; per i quattro c’è infatti l’aggravante del metodo mafioso. Gli investigatori hanno fatto luce su una vera e propria faida fra i Colombo e la famiglia Maranzano.
A rompere il muro di omertà è stata una donna che ha permesso di mettere fine alla guerra che si era scatenata tra i due clan familiari. Dopo l’arresto di Giuseppe Cusimano, ritenuto il nuovo boss del quartiere, la convivenza tra i due gruppi sarebbe diventata insostenibile. Fino all’epilogo che non si è trasformato in una strage solo per alcune coincidenze. Mentre i Maranzano preparavano il raid contro i Colombo, la donna ha chiamato il 112 e ha raccontato dei piani: «Vi prego, stanno per succedere cose gravissime allo Zen».
A sparare sarebbero stati Litterio Maranzano e suo fratello Pietro, che la scorsa settimana sono stati fermati dagli investigatori della squadra mobile diretti da Rodolfo Ruperti. La donna, una familiare dei Colombo, adesso è sotto protezione dello Stato. Ha fatto i nomi dei responsabili del tentato omicidio e ha spiegato anche il movente del raid, scattato dopo una lite.
I quattro fermati accusati dalla polizia di fare parte del commando sono i palermitani Giovanni Cefali, 62 anni, Nicolò Cefali, 24 anni, Vincenzo Maranzano, 49 anni, Attanasio Fava, 37 anni. La faida avrebbe avuto origine da una discussione ritenuta banale dagli investigatori. Banale ma sufficiente a risvegliare vecchi rancori, con il gruppo di persone che sarebbe stato capeggiato dai fratelli Maranzano, che si è presentato al cospetto dei Colombo in pieno giorno a bordo di almeno tre automobili di grossa cilindrata.
Una «platealità paramilitare», per usare le parole degli stessi investigatori, che si inquadra perfettamente nel contesto in cui operano le famiglie mafiose della zona. «Abbiamo avuto anche altri fatti cruenti in quello stesso quartiere – dice Rodolfo Ruperti, capo della Squadra mobile palermitana – ma le azioni precedenti non avevano avuto questo impatto così devastante. Siamo di fronte a un segnale di forza non soltanto nei confronti dei Colombo, ma indirizzato all’intero quartiere e alle forze dell’ordine. Il concetto di gruppo paramilitare, infatti, che si organizza non solo per uccidere i Colombo, ma che va a rischiare, in pieno giorno, di causare danni anche ad altre persone, ha la valenza di dimostrare la vera forza militare dei Maranzano e di altri».
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