Almaviva, Vodafone e la disoccupazione “per tutti”

Salve,

lavoro presso Almaviva contact Ct, un’azienda outsorced nazionale che lavora esclusivamente su commesse esterne, principalmente – in questo caso – con Vodafone. Vi scrivo perché, grazie alla politica delocalizzante di Vodafone – che ha deciso di dirottare l’assistenza clienti in call center siti in Albania, Romania e Tunisia, così da risparmiare sul costo delle chiamate – ci ritroviamo a rischio licenziamento. Cioè, sempre a detta di Vodafone, con 600 risorse in esubero. Credo che il prossimo spot di questa azienda leader nelle telecomunicazioni non debba avere un romano, ma un rumeno: credo che delocalizzando e investendo in un altro Paese non si debba avere né diritto agli incetivi statali (ed effettivamente è così), né ripetitori in Italia. Perché se l’economia gira, gira all’interno di uno stesso Paese, se investo qui raccolgo qui e viceversa.

Credo che i nostri scioperi e le nostre proteste come singoli, come lavoratori, come sindacati non siano state sufficienti a proteggere il nostro diritto al lavoro. Vi chiedo non uno scandalo pubblico, che poco ci gioverebbe, ma un’attenzione mediatica tale da porre Vodafone in condizioni da investire in noi e non solo nel pinguino, poiché lo Stato che non riesce a produrre posti di lavoro non è in grado di tutelare neanche quelli attuali. (foto a destra tratta da cadoinpiedi.it)

In attesa di un Vostro riscontro vi ringrazio anticipatamente.

Lettera firmata

Condividiamo tutto quello che c’è scritto in questa lettera. La cosiddetta delocalizzazione va fermata, perché sta uccidendo le economie di tanti Paesi del mondo. Con in testa l’Italia. Ma anche Grecia (ridotta in ginocchio) e Spagna.

Giusto pensare – come si legge in questa lettera – di togliere incentivi statali e ripetitori alle aziende che delocalizzano. E sarebbe anche corretto impedire a chi delocalizza di promuovere i propri prodotti nelle Tv del nostro Paese. Niente promozioni Rai, chiedendo anche ai gestori delle Tv private di non passare gli spot delle aziende che delocalizzano.

Detto questo, bisogna pensare anche ad altre forme di lotta per combattere la delocalizzazione e, in generale, la cosiddetta ‘finanziarizzazione dell’economia’.

Dobbiamo rendere il nostro Paese più competitivo. Ma dobbiamo fare questo non riducendo le garanzie per i lavoratori. La strada da percorerre per affrontare un problema così complesso non è quella intrapresa dal Governo Monti. E non è nemmeno la precarizzazione del lavoro.

Il tema, sia chiaro, è immenso. E non è nuovo. Anche se non possiamo nascondere che tutta l’economia europea è peggiorata da quando esiste l’euro. Il problema è tutto lì: non possiamo continuare a pensare di rilanciare l’economia del nostro Paese se non ci riprendiamo la nostra sovranità monetaria. L’euro è una teratologia economica, finanziaria, sociale e culturale. Essere entrati nell’euro – soprattutto alle condizioni in cui è entrata l’Italia – è stato un grave errore. Perseverare – come stiamo facendo – è però diabolico (o massonico: punti di vista…).

E’ inutile pensare di affrontare problemi economici epocali senza avere il controllo dell’economia e della moneta. Oggi subiamo scelte che non perseguono l’interesse del nostro Paese.

Siamo finiti prigionieri di un sistema che, come ha scritto qualche tempo fa il nostro Alessandro Mauceri, fa solo gli interessi delle banche. Basti pensare che, ormai da qualche anno, oltre il 40 per cento del Pil (Prodotto interno lordo) dell’Unione Europea finisce nelle ‘casse’ delle banche. Che, in buna parte, con queste risorse, sostengono se stesse e non il sistema economico europeo.

Per non parlare dello spread, una forma di ricatto organizzato e controllato grazie al quale alcuni Paesi europei stanno provando a sottomettere altri Paesi europei, con buona pace di un’ ‘Unione Europea’ che non è affatto unita, non dà libertà, non da democrazia, ma che invece comprime libertà e democrazia.

Nella creazione e nella gestione dell’euro sono state commesse leggerezze ed errori. La crisi economica del nostro tempo è anche figlia di una moneta unica europea sbagliata.

Qualcuno sostiene che ad essere sbagliate sono le politiche monetarie. Anche se a noi viene un po’ difficile pensare a una moneta al di fuori delle politiche monetarie che la creano, la sostengono e la giustificano.

Per fortuna, anche nel nostro Paese, piano piano, si va diffondendo il dibattito sulla possibile uscita dall’euro. Dobbiamo essere ottimisti. Ci siamo liberati dal nazismo e dal fascismo. Ci libereremo anche dall’euro e dalla schiavità dello spread e della finanza ladra. E’ solo questione di tempo. Buisogna crederci. E lottare.

 

Redazione

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