Alle radici del declino dell’Italia: quando Andreatta a Ciampi, nel 1981, ‘sganciarono’ la Banca d’Italia dal Tesoro…

UNA MOSSA FATTA, ALMENO UFFICIALMENTE, PER TOGLIERE POTERE ALLA VECCHIA CLASSE POLITICA. MA CHE, IN REALTA’, HA SEGNATO L’INIZIO DEL DECLINO DEL NOSTRO PAESE. ALLA CRISI ITALIANA ERA GIA’ ALLORA MOLTO ‘INTERESSATA LA GERMANIA: GUARDA CASO, IL PAESE CHE OGGI CONTROLLA LA NOSTRA VITA. STANDO ALL’AVVINCENTE RACCONTO DI NINO GALLONI, L’UNICO CHE AVEVA CAPITO TUTTO ERA ANDREOTTI…

Appare addirittura sgradevole assistere al dibattito pubblico che viene avanti con il piglio degli Azzeccagarbugli. La mancata crescita dovuta al calo degli investimenti a causa, udite udite, dell’articolo 18 della legge 300 del 1970. Non va ancora bene benché sua stata abbondantemente snaturata. Ovvero, i costi elevati della politica – anche se questa ragione ha qualche fondamento -al solo scopo di smantellare mezzo apparato istituzionale per ridurre sempre più i presidi della democrazia. O, ancora, la discussione infinita sulla legge elettorale che, tranne Matteo Renzi, nessuno vuole realmente cambiare, perché l’enorme potere che deriva dalla nomina degli ‘eletti’ è un motivo più che congruo per mantenerla intatta nelle amni di chi è nelle condizioni di esercitarla.
Tutti argomenti che hanno un minimo fondamento, ma che non sono la vera causa del disastro economico nazionale. Questo giornale più volte ha individuato nella forsennata campagna di privatizzazioni la vera ragione delle origini della crisi economica e produttiva italiana. L’avere distrutto il sistema delle imprese Iri, che era all’avanguardia del mondo economico e industriale, è stato un errore grossolano che stiamo pagando severamente ancora oggi. E’ stata smantellata la vera industria, mentre è ancora in piedi il sistema Mediobanca che non produce certo ricchezza ma, molto più semplicemente, sfrutta le risorse altrui grazie alla vicinanza con il mondo politico e finanziario nazionale. Costoro, più che imprenditori, dalle nostre parti si chiamano affaristi. Gli affaristi sono coloro che si arricchiscono con il metodo classico della corruzione del potere per trarne vantaggi smisurati.

Queste note di premessa non sono vaniloqui di un invasato, sono semplici considerazioni che nascono anche dalla lettura delle ‘confessioni’ che Nino Galloni, ex manager pubblico, già docente universitario ed alto dirigente di Stato a rilasciato a Claudio Messori per ‘Byoblù‘ e pubblicate da “Libre associazione di idee”.
Galloni racconta – per averle vissute da vicino quale consulente dei governi, chiamato da Giulio Andreotti – le origini della retrocessione dell’Italia da settima potenza industriale dl mondo a Paese in precipitoso declino, finita ormai  nelle basse classifiche internazionali, specialmente economiche e produttive.
La prima ragione della crisi risale al 1981. Ministro del Tesoro e teorico delle privatizzazioni è Beniamino Andreatta, che propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro. Il governatore di Bankitalia di quegli anni, Carlo Azeglio Ciampi, immediatamente esegue. Lo scopo è quello di togliere alla Stato la possibilità di beneficiare di una fonte finanziaria diretta, come fanno tutte le Banche centrali del mondo. E, di conseguenza, costringere lo Stato italiano a ricorrere all’indebitamento pubblico. Operazione ‘intelligente’ perfettamente riuscita…
La seconda ragione che spiega la crisi dell’Italia va in scena in occasione della caduta del Muro di Berlino. La Germania di Helmut Koll pone la sua riunificazione con la ex Ddr e come condiziona per l’adesione tedesca all’euro: il nuovo assetto europeo deve adoperarsi per eliminare dalla scena il concorrente più agguerrito della economia tedesca e cioè l’Italia. Solo che a non capirlo – o forse l’anno capito e non hanno fatto nulla per evitarlo o, ancora, non hanno potuto fare nulla – sono proprio i governanti italiani di quegli anni.
“Da noi – dice Galloni – non mancarono i complici di questo disegno, pur di togliere il potere sovrano alla classe dirigente corrotta della Prima Repubblica”. E continua ricordando che l’unico a mostrare qualche perplessità sulla riunificazione della Germania è proprio Giulio Andreotti. Per questa ragione i suoi timori sono subito tacciati di “provincialismo storico”. Andreotti si oppone a questo disegna perché ne conosceva le finalità. (sopra, a sinistra, foto di Nino Galloni, tratta da informazionexresistere.fr)
“Poi – racconta Galloni – arrivò una telefonata da Kohl al ministro Guido Carli con la quale si lamentava che ‘qualcuno remava contro’ al piano franco-tedesco”.

Il professore Nino Galloni ricorda un suo colloquio con Giulio Andreotti tramite ‘pizzini’, benché fossero da soli in una stanza, perché l’onorevole Andreotti temeva che potessero essere intercettati tramite microfoni-spia. In quell’occasione Adreotti lo informa delle pressioni tedesche sul ministro del Tesoro, Guido Carli “perché io smetta di fare ciò che stiamo facendo”.

Questa è l’origine della ‘inspiegabile’ tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia.
Due episodi tragici lo documentano.
Il primo è l’uccisione di Enrico Mattei, il protagonista dell’Italia industriale, ammazzato per la sua politica filo araba e in competizione con gli interessi delle “Sette sorelle”, le multinazionali del petrolio.
La seconda, l’uccisione di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse in versione Mario Moretti, l’uomo in combutta con i servizi segreti americani e israeliani, nonché con gli ambienti deviasti dei servizi segreti italiani.
Peraltro i due erano sotto scacco. Aldo Moro era mal visto da Herry Kissinger, che gliel’aveva giurato per via della sua apertura al ‘Compromesso storico’ avanzato da Enrico Berlinguer. Mattei, circa quindici anni prima di Moro, l’abbiamo ricordato, muore per la sua apertura al mondo arabo, che in quegli anni andava solo sfruttato (in realtà, è sfruttato anche oggi).
In questa storia c’è anche la strana morte di Pier Paolo Pasolini, che paga il conto assai salato per avere denunciato proprio i mandanti dell’omicidio di Enrico Mattei. Cosa, questa, raccontata nel romanzo “Petrolio”, pubblicato solo qualche anno fa.
Per anni la morte di Mattei è stata accompagnata da una versione ufficiale di comodo: “incidente aereo”. A questo proposito recenti inchieste – compreso il libro-inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza “Profondo Nero” (Chiarelettere) – fanno riferimento ad una pista ‘francese’, cioè ad agenti dell’ex Oas (la formazione del generale Salan operante in Algeria), inquadrati dalla Cia nell’organizzazione paramilitare Stay Behind (in Italia meglio nota col nome di Gladio, ndr), con l’aiuto della mafia, hanno sabotato l’aereo di Mattei, poi caduto nelle campagne di Bascapè.
A seguire subentra la ‘strategia della tensione’ messa in piedi di destabilizzare la democrazia in Italia. Nei primi anni ’80, con il già citato ‘divorzio’ di Bankitalia dal Tesoro, iniziano le difficoltà finanziarie del nostro Paese. Infatti, venuto meno l’apporto costante della Banca centrale, il debito pubblico passato in mani private schizza al di sopra del Pil (Prodotto interno lordo) a causa dell’incidenza del costo dei tassi d’interesse.
Viene meno l’apporto finanziario pubblico a costo zero per i cittadini, che da quel momento dovono sobbarcarsi l’onere degli interessi sul debito. Chi ha voluto, in realtà, tutto questo?
Tutta l’operazione, come s’è detto, è stata architettata dal trio Andreatta-Ciampi-De Mita. Lo scopo era sicuramente alto: togliere al ceto politico del tempo gli strumenti del potere e della corruzione. Cioè il sistema delle Partecipazioni statali. In verità, questo assicurava occupazione e sviluppo, tuttavia era all’origine del sistema della corruzione dilagante in quanto poteva contare sugli apporti finanziari della Banca d’Italia.
Oggi ci fermiamo qui e rimandiamo alla prossima puntata il resto.

(Foto di prima pagina tratta da italiadallestero.info)

continua/

Riccardo Gueci

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