Alla “Corte” dei Bebawi

Sembrerebbe un racconto di Gianrico Carofiglio, invece l’ Affaire Bebawi è innanzitutto cronaca e, grazie alla originale messa in scena realizzata dagli studenti di Giurisprudenza, adesso è anche spettacolo. Anche quest’anno, infatti, la dirigenza  del Teatro Stabile di Catania – e in particolare il direttore artistico, Pietrangelo Buttafuoco – ha concesso in prestito il palco del cine-teatro Ambasciatori per la realizzazione dell’ormai pluridecennale progetto didattico, curato dalla professoressa Dina Di Martino, docente di discipline penalistiche, e dal procuratore Renato Papa.

Il processo simulato costa ai suoi studenti-attori un notevole sforzo creativo ed interpretativo, ma ha anche la fortuna di godere del benestare dell’Ordine degli Avvocati e della Procura della Repubblica. Così, ormai dalla fine degli anni novanta, i futuri giuristi si esibiscono alla presenza di docenti, avvocati e magistrati, quasi anticipando le vere udienze di cui saranno protagonisti da lì a qualche anno.

Dopo la mitologia greca dello scorso anno, quest’ anno la scelta è ricaduta su un caso di cronaca giudiziaria. L’Affaire Bebawi, infatti, altro non è che un omicidio efferato, consumato a Roma negli anni Sessanta, ovvero nella capitale del cinema e della cosiddetta “dolce vita”; di Fellini, Sordi e Mastroianni; come testimoniano anche le immagini passate in rassegna sul palco. Ebbene, nella Roma poetica – e non certo “burina” – di allora, una mattina viene ritrovato il cadavere sfigurato di Farouk Chourbagi, giovane ed affascinante uomo d’affari libanese, ucciso a colpi di pistola. Almeno così ha raccontato la cronaca e così la vittima è stata “recitata”. Il Farouk della finzione, infatti, è a dir poco ammiccante e si cala perfettamente nei panni dell’amante che promette e non mantiene. Si atteggia con movenze affascinanti ed ingannevoli, capaci di illudere Gabrielle Bebawi di essere amata per sempre. Forse al punto da non reggere poi un inaspettato rifiuto e da renderla capace di commettere  un omicidio. O forse tanto da scatenare la gelosia folle ed omicida del marito di lei. Forse. Tanto “forse” che le prove risulteranno insufficienti e che i coniugi Bebawi, entrambi imputati, saranno assolti con proscioglimento dubitativo nella realtà; per insufficienza di prove nella pièce teatrale.

Ed infatti, una delle maggiori difficoltà della rappresentazione, è consistita proprio nella trasposizione del rito processuale dal codice Rocco, vigente negli anni Sessanta, a quello attualmente applicato. Così l’assoluzione per insufficienza di prove ha sostituito l’ormai inesistente proscioglimento dubitativo, mentre l’esame dei testi  è stato condotto dalle parti, e non dal giudice.

Lo schema dello spettacolo si ripropone come ogni anno: canzoni riscritte e riadattate  (da Lucio Dalla a Summertime, daDe Andrè ai Beatles, da Celentano a Rosa Balistrieri); parti recitate coralmente e dialoghi ironici e pungenti. Eppure non mancano i tecnicismi: le regole-garanzie del processo penale vengono rispettate anche sul palco. La competenza per l’omicidio è attibuita  al collegio della Corte d’Assise. L’esame degli imputati avviene sì prima di quello dei testimoni, ma solo con il consenso delle parti. Le conclusioni post-dibattimentali sono formulate in ordine: prima l’accusa e poi la difesa. Solo un aspetto appare un po’ distante dalla realtà: il collegio si ritira per deliberare e poco dopo la sentenza è pronta. Giustizia lampo.

Antonia Maria Arrabito

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