Mentre l’orchestrina suonava “Gelosia” è un titolo insolito per un libro che vuole raccontare cosa vuol dire “crescere e ribellarsi in una tranquilla città di mafia”, come spiega la didascalia in copertina. Quel titolo, però, è il punto di partenza della storia professionale e umana dell’autore Antonio Roccuzzo, attraverso cui il giornalista catanese, oggi caporedattore di La 7, racconta quella della redazione dei Siciliani e del suo direttore, Pippo Fava, e una parte importante della storia della sua città. La Catania degli anni Ottanta, lontana da quella di oggi nel tempo, ma non nell’essenza.
Il titolo del libro, presentato ieri alla libreria Cavallotto di Corso Sicilia, riprende quello del primo articolo di cronaca a firma del ventiduenne Roccuzzo, pubblicato nel Giornale del Sud e completamente riscritto da Pippo Fava. Quel titolo racchiude la nascita di un rapporto di fiducia tra un giovane cronista e il suo direttore, un uomo libero, un Cyrano, come lo definisce Roccuzzo, che usava le parole e la scrittura non solo giornalistica, per dare cazzotti sullo stomaco ai potenti e a tutti quelli che stavano distruggendo la città. Una storia personale e collettiva che l’ex redattore dei Siciliani narra passando da un luogo, allo stesso tempo fisico e intimo, all’altro, e da un volto all’altro: il direttore, il padre, i colleghi, la redazione e la famiglia.
Catania è sullo sfondo, ma anche protagonista della narrazione. Roccuzzo racconta com’era negli anni Ottanta, com’era nella realtà degli articoli di quelli del Giornale del Sud prima e dei Siciliani dopo – mafiosa, corrotta e cinica – e come volevano farla sembrare gli intellettuali integrati nel sistema malato della città e La Sicilia, unico giornale locale prima e dopo Fava: tranquilla, moderna e furba. Parlare del passato di una città in cui “nonostante siano trascorsi quasi 30 anni, tutto si è mosso ma non sono cambiati scenari e problemi; anzi molti protagonisti sono ancora lì”, è anche parlare del suo presente. E nei fatti di cronaca riportati nel testo – che lo rendono una fonte importante per i lettori più giovani e per tutti quelli che hanno memoria breve – si trovano le radici di problemi attuali, mali cittadini sempreverdi, nomi ancora alla ribalta delle cronache, ancora protagonisti del presente della città.
Si legge del saccheggio di Catania, della cementificazione e della nascita dei quartieri periferici, degli abitanti sfrattati di Librino, del pizzo, di corruzione e mafia, di giunte comunali corrotte e mangiasoldi che giocano anche col rischio sismico. Si legge la storia del Giornale del Sud e si capisce che a Catania la proprietà di un giornale è sempre un problema per i suoi giornalisti. In tutte queste storie compaiono tanti nomi, fra cui quello del padrone del quotidiano La Sicilia Mario Ciancio Sanfilippo, del professore Elio Rossitto e del magistrato Giuseppe Gennaro. Oltre a quelli dei quattro “cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, gli imprenditori Graci, Finocchiaro, Rendo e Costanzo. E quando Roccuzzo ci racconta le reazioni di intellettuali e giornalisti per cui la mafia non esisteva e chi ne parlava voleva diffamare la città, la mente va al dopo Report, a certi editoriali e commenti di professori e studiosi ospitati nel giornale catanese, alle recenti apologie di Tony Zermo, storica firma dello stesso quotidiano. Si negano memoria e fatti.
“Per non dimenticare”, scrive Roccuzzo, spiegando perché ha deciso di tirare fuori queste vicende e metterle dentro un libro dopo quasi trent’anni. Per non dimenticare il lavoro di un gruppo di giovani guidati da un grande giornalista, che armati di incoscienza hanno scritto la realtà che nessuno raccontava in una città in cui era, ed è ancora possibile il “Paradosso professionale” di uscire una volta al mese con notizie inedite.
La storia di quel gruppo di amici è raccontata tramite lo sguardo dell’autore, ma con lo stile da cronista. Un resoconto puntuale di fatti e incontri: con Fava, ma anche con Giovanni Falcone, Sandro Pertini, Giambattista Scidà, Pio La Torre e tutti i colleghi della redazione, primo fra tutti Riccardo Orioles, che a differenza degli altri è rimasto a Catania a fare il giornalista e a formare i giovani.
E proprio ai giovani è dedicata l’opera di Roccuzzo: «Ai ragazzi in cerca di parole libere».
Il libro comincia e si chiude con l’omicidio di Pippo Fava, un delitto politico, anche se i nomi dei mandanti politici non sono mai stati fatti: la fine di un’avventura irripetibile, ma l’inizio di tante altre, di un taglio nella fitta tela del silenzio e connivenza della città. È da qui che entra la luce, e Roccuzzo, che crede che “Se fai il cronista non puoi vivere dove accade che alle parole scritte qualcuno ordini di rispondere usando una calibro 7.65”, nei titoli di coda lascia spazio alla speranza.
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