Aeroporto Birgi, indagine sui bilanci è l’ultima tegola Senza la fusione con Palermo, si lavora a un piano B

Peculato e false comunicazioni sociali. Sull’aeroporto di Trapani piove sul bagnato. Come se non bastasse il drastico calo di voli e di passeggeri e l’ultimo bando per aprire nuove rotte andato in larga parte deserto, arriva anche un’indagine della locale Procura che al momento vede coinvolte 15 persone: si tratta degli ex vertici e consiglieri del cda di Airgest, la società che gestisce lo scalo. Gli approfondimenti della Guardia di finanza hanno preso in esame i bilanci tra il 2010 e il 2015 e hanno esaminato tutto quello che ruotava attorno all’accordo di co-marketing, lo strumento grazie al quale Ryanair ha garantito la sua presenza a Trapani. 

In sostanza i Comuni mettono a bando (usando soldi della Regione, ma non solo) la promozione del loro territorio, attraverso pubblicazioni su riviste, siti, ecc. Così negli ultimi anni la Airport marketing service limited, la società che gestisce il marketing di Ryanair, ha potuto contare su decine di milioni di euro. E la low cost, d’altro canto, ha garantito rotte e turisti. 

L’accusa della Procura di Trapani è che i soldi spesi per il co-marketing siano stati messi a bilancio da Airgest in maniera errata. E precisamente che siano stati inseriti «tra le immobilizzazioni immateriali anziché nel conto economico», così sostanzialmente agevolando la complicata chiusura del bilancio. Per questo sono indagati per false comunicazioni sociali gli ex presidenti del cda di Airgest Salvatore Castiglione e Franco Giudice; Paolo Angius (non nella qualità di attuale presidente della società, perché le indagini non riguardano l’attuale gestione, ma in quanto vicepresidente e consigliere del cda tra 2012 e 2015); gli ex consiglieri del cda Vittorio Fanti, Luciana Giammanco (che è pure dirigente della Regione siciliana) e Gioacchino Lo Presti, oltre all’ex direttore generale Giancarlo Guarrera. A questi si aggiungono gli ex componenti del collegio sindacale Letteria Dinaro, Michele Maggio, Antonino Diliberti, Antonio Lima e Antonino Galfano. 

Più grave l’accusa di peculato che gli inquirenti contestano agli ex presidenti del cda Castiglione, Giudice, e Salvatore Ombra, agli ex vicepresidenti Angius e Fabrizio Bignardelli, agli ex direttori generali Guarrera e Giuseppe Russo, e all’ex ad Fanti. Sono accusati di aver usato la tassa addizionale comunale – cioè quella sui diritti di imbarco dei passeggeri – per ripanare le difficoltà di liquidità di Airgest, anziché versarla nelle casse dello Stato. In totale 18,3 milioni di euro tra il 2009 e il 2018. «Ho piena fiducia nella magistratura – commenta Angius, attuale presidente di Airgest – e sottolineo che le indagini non riguardano l’attuale gestione, anche perché non abbiamo dato un euro né a Ryanair né ad altre compagnie». 

Già, perché finora il nuovo bando non ha dato gli esiti sperati. Su 25 lotti, solo per tre rotte – Torino, Roma e Milano – sono state presentate offerte. La scorsa settimana il Comune di Marsala, capofila tra quelli coinvolti nell’operazione di co-marketing, ha emanato una determina per una nuova gara, stavolta non con avviso pubblico, ma con procedura negoziata. Adesso, di conseguenza, la centale di committenza, la Cuc Trinakria, dovrebbe mandare gli inviti alle compagnie per partecipare. Sicuramente a ricevere l’invito saranno le prime dieci compagnie operanti in Europa. Una strada comunque lunga che non riuscirà a garantire nuovi voli per la stagione estiva. E Ryanair? Secondo Airgest la compagnia irlandese starebbe aspettando gli esiti della Brexit per decidere se e come ricollocare gli aerei delle venti basi che ha nel Regno Unito, qualora, nello scenario peggiore, decidesse di lasciarlo. E a quel punto, è la speranza del management trapanese, Birgi potrebbe beneficarne. Soluzione che però al momento sembrerebbe più un auspicio che uno scenario reale. 

Sullo sfondo resta il percorso, voluto dal presidente della Regione Nello Musumeci, di fusione delle società di gestione degli aeroporti siciliani: Trapani con Palermo per un’unica società in Sicilia occidentale, e Comiso con Catania per fare altrettanto a Oriente. Alle parole, però, faticano a seguire i fatti. 

Ai piedi dell’Etna si aspetta che si porti a compimento la liquidazione di Intersac – che detiene il 65 per cento delle quote di Soaco, la società che gestisce lo scalo di Comiso – per capire se ci sarà una vendita di quote e a chi finiranno, con la Sac, che gestisce Catania, in prima fila tra gli interessati. «Chiarito il destino di Intersac – precisa Nico Torrisi, amministratore delegato di Sac – io ho ricevuto il mandato all’unanimità di rilanciare Comiso, l’indirizzo della politica e dei soci di Sac è uguale». 

Una musica diversa suona invece a Occidente: a Palermo, infatti – soprattutto dalle parti del Comune che è socio di Gesap (società che gestisce lo scalo di Punta Raisi) – non vogliono sentire parlare di fusione con Trapani. E se da un lato a parole si continua a lavorare per la fusione, dall’altro si studia un piano B. «Un matrimonio si fa in due – precisa il presidente di Airgest, Angius – qualora l’idea di un’unica società dovesse saltare, stiamo valutando di poter mettere in atto una campagna commerciale comune con Palermo. Un po’ come stanno facendo gli aeroporti di Bologna e Parma, dove – conclude – alcuni voli di Bologna sono stati riprogrammati su Parma, ma le due società di gestione sono rimaste distinte». 

Salvo Catalano

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