Un compenso che può variare da qualche euro l’ora, una cifra puramente simbolica ed inferiore allo stipendio di una colf, fino ad un massimo di poche migliaia di euro l’anno. E’ questo il trattamento economico riservato ai docenti a contratto che, specie nelle sedi decentrate, hanno finora garantito il funzionamento dei corsi di laurea, spesso in materie fondamentali, che sono (quasi sempre) tra i professori più entusiasti, simpatici e disponibili al dialogo con gli studenti e che a volte tradiscono il loro status di docenti “speciali” soltanto per eccesso di zelo.
La principale differenza coi docenti di ruolo – ordinari, associati e ricercatori – consiste nel fatto che un docente a contratto non ha sostenuto un concorso nazionale per accedere alla carriera di professore universitario. E’ stato scelto, sempre con bando pubblico, direttamente dalla facoltà, che lo ha dichiarato idoneo all’affidamento del corso in base al curriculum professionale o alle pubblicazioni scientifiche che ha presentato.
A che serve, o meglio a cosa avrebbe dovuto servire, il docente a contratto?
In effetti un decreto del 1998 parlava di docenza a contratto solo nel caso in cui le università dovessero “sopperire a particolari e motivate esigenze didattiche”. Lasciava quindi intendere che si sarebbe fatto ricorso a docenti esterni solo per materie che richiedevano un’esperienza professionale molto specifica, difficile da trovare all’interno dei normali settori disciplinari: lo scrittore, il giornalista, il tecnico di alto livello, il manager, il libero professionista-pioniere di nuovi settori lavorativi avrebbero potuto portare una ventata di esperienza diretta nel mondo del lavoro e di concretezza, o particolari competenze che difettavano tra i professori.
Nella realtà gli atenei si fecero… prendere la mano. E quando l’entrata in vigore del “3+2” fu accompagnata dalla moltiplicazione dei corsi di laurea più o meno decentrati fecero massicciamente ricorso ai “contrattisti”. La spinta ad utilizzarli era soprattutto di natura economica: a parte la difficoltà di bandire concorsi, il professore a contratto costa infinitamente di meno di un docente di ruolo. Perciò ricorrere ai docenti a contratto era l’unica strada percorribile per tenere i bilanci sotto controllo. Così nel 2006 erano già arrivati alla bella cifra di quasi cinquantamila sul piano nazionale.
Inoltre, a poco a poco, i contratti furono affidati anche a ricercatori (giovani, ma non solo) in lista d’attesa in vista dei concorsi per entrare di ruolo. Non a caso alcuni anni fa il senato accademico dell’università di Catania modificò il regolamento che impediva ai laureati titolari di un assegno di ricerca di assumere un insegnamento a contratto. lnsomma, tutti “professori”. E sempre più indispensabili. Senza di loro molti presidi sarebbero stati costretti a chiudere interi corsi di laurea.
E’ esattamente quello che avverrà forzatamente a partire dal 2010-2011, perché un decreto fatto approvare dall’ex ministro Mussi ha fissato un tetto molto rigido all’utilizzo dei cosiddetti “contrattisti”: in pratica per ogni corso di laurea le facoltà dovranno garantire che almeno il 50% del personale docente sia di ruolo, se non altro per impedire che, come avviene attualmente in molti casi, “gli esterni” diventino più numerosi degli interni.
Purtroppo non sembra che questo imminente riordino della docenza abbia spinto a rendere più equo il trattamento economico dei docenti a contratto. Al contrario, la pressante necessità di “fare economie” ha portato diverse facoltà a decurtare ulteriormente i compensi creando una vera e propria “giungla retributiva”. A parte la differenza tra Catania e le sedi decentrate, per le quali, comprensibilmente, la retribuzione è leggermente più alta, risultano diversità sorprendenti; “scandalose” arriva ad affermare qualcuno.
Nel corso del dibattito per l’elezione del rettore sono stati presi impegni per regolarizzare la situazione, ma un fatto è incontestabile: l’idea che a pari lavoro dovrebbe corrispondere un pari trattamento economico e che è inaccettabile concedere insegnamenti “onorifici” e a retribuzione simbolica fatica a farsi strada nella nostro ateneo.
Ecco i dati che Step1 è riuscito a raccogliere facoltà per facoltà, riferiti all’anno accademico in corso (con l’avvertenza che per il prossimo anno accademico in alcune facoltà, come ad esempio Lingue, compensi sono stati ulteriormente decurtati). Per calcolare la retribuzione annua globale, si tenga conto che un contratto di supplenza “medio”, pari a 6 CFU, comporta in genere 42 ore di lezione. Con l’obbligo degli esami, del ricevimento studenti e dell’assistenza per tesi di laurea; perfettamente alla pari coi docenti di ruolo.
I “RICCHI” E “QUASI RICCHI”
Facoltà di Giurisprudenza
Sede di Catania € 102,00 per ora di lezione
Sede di Ragusa € 134,00 per ora di lezione
Facoltà di Farmacia:
Contratti annuali € 6.484,43
Contratti semestrali € 3.109,14
Facoltà di Lingue:
Sede di Catania € 85,46 per ora di lezione
Sede di Ragusa € 113,95 per ora di lezione
Facoltà di Medicina:
Sede di Catania € 700,00 a CFU (= 7/15 ore)
Facoltà di Agraria
Sedi di Catania e Belpasso € 500,00 a CFU (= 7/11 ore)
Sedi di Nicosia e Caltagirone € 700,00 a CFU (= 7/15 ore)
Sede di Ragusa € 1.000,00 a CFU (= 7/11 ore)
I POVERI
Facoltà di Scienze MM.FF.NN
Variabile da € 100,00 a € 4.200,00
Facoltà di Ingegneria
Sede di Catania € 40,00 per ora di lezione
Facoltà di Economia
Sede di Catania € 40,73 per ora di lezione
Sede di Modica € 101,80 per ora di lezione
Facoltà di Architettura
Sede di Siracusa € 50,00 per ora di lezione
Facoltà di Scienze della Formazione
Sedi di Catania e Piazza Armerina € 60,00 per ora di lezione
I POVERISSIMI
Facoltà di Lettere
Sedi di Catania e Siracusa € 15,3 per ora di lezione
Facoltà di Scienze Politiche
Sede di Catania € 18,47 per ora di lezione
Sedi di Modica e Caltanissetta € 46,15 per ora di lezione
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