A Palazzo sant’Elia arriva l’arte di Shozo Shimamoto «La sua astrazione permette la libertà di interpretare»

Impronte, sagome di corpi, cocci di bottiglie rotte e colori che si incontrano. Non un senso evidente ma la bellezza misteriosa dell’imprevedibile e dell’indicibile in “Spazio nel tempo”, la retrospettiva dedicata all’artista giapponese Shozo Shimamoto, in mostra dal 13 giugno alla Fondazione Sant’Elia. Curata da Achille Bonito Oliva, tra gli eventi di punta del cartellone di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, “Shozo Shimamoto, Spazio nel tempo” è un percorso completo che immerge il visitatore nella carriera dell’avanguardista giapponese, in uno spazio e tempo circolare che tendono all’infinito.

«Sono molto felice e orgoglioso di presentare a pochi giorni da Manifesta 12 – afferma l’assessore Andrea Cusumano – la mostra di uno dei più importanti artisti del secolo scorso». Nato nel 1928 ad Osaka, una grande città portuale dell’isola Honshu in Giappone, Shozo Shimamoto è stato cofondatore, insieme al maestro Jiro Yoshihara, del gruppo Gutai. Il movimento avanguardista giapponese, allontanandosi dalla tradizione pittorica, ricerca nelle sue opere l’impulso e la creatività. In mano non più i pennelli ma annaffiatoi, imbuti, ombrelli, vibratori, pallottolieri, pattini, giocattoli, e ancora piedi, mani nude, armi da fuoco, bottiglie di vetro piene di colore. A suggerire il nome del gruppo, che in giapponese significa “concreto”, proprio Shimamoto nel 1954. Sua anche l’idea di realizzare una rivista divulgativa perché, diceva, “non basta fare azione in Giappone, bisogna informare il mondo”

Un’arte astratta ma protagonista, piena di sentimento, legata all’azione, al movimento e ai corpi. Opere che nascono da action painting e performance avanguardistiche, quelle realizzate dal gruppo Gutai, sulla scia di Jackson Pollock. Una differenza, però, rende l’arte gutai e quella di Shimamoto uniche, discostandole dall’espressionismo astratto dello statunitense Pollock: lo spazio. Mentre Pollock rimane intrappolato dentro uno spazio chiuso – lo studio in cui realizza le sue opere – gli artisti Gutai escono all’aperto, facendo partecipare il pubblico, permettendo ad altri fattori di intervenire nel dipinto ad allargarne il senso, a mutarne il significante.

«Dopo la morte di Pollock sono state trovate nella sua casa alcune riviste Gutai – racconta il collezionista Giuseppe Morra – Quando ho conosciuto Shimamoto mi sono innamorato del personaggio, della bellezza nel produrre le cose. Un giorno gli ho chiesto: “ma come hai iniziato a dipingere?” E lui mi ha raccontato: “Avevo saputo che c’era un maestro e sono andato a trovarlo. Gli ho detto: ‘sono un artista mi farebbe piacere farle vedere i miei lavori’. Dopo avergli fatto vedere i miei lavori il maestro prontamente diceva ‘Quest’opera è già stata vista’ oppure ‘è conosciuta’. Un giorno mentre andavo dal maestro con in mano un’altra opera da consegnare, il vento me l’ha portata via. La tela è andata a finire su degli alberi e si è bucata, io allora ho pensato di portarla lo stesso al maestro e lui mi ha detto: ‘Questa è davvero un’opera unica”».

In mostra alla Fondazione Sant’Elia lavori di grande importanza storica, dalle prime opere con il gruppo Gutai ai lavori realizzati in Campania. Spruzzi di colore su tela, pannelli, statue, strumenti musicali. Per la prima volta in Italia verranno esposti anche i lavori su carta degli anni ’50. «Shimamoto non fa la pittura ma è la pittura che fa Shimamoto – spiega il curatore, Achille Bonito Oliva – Svincola la creazione dall’obbligo accademico del rispetto delle regole e riprende l’automatismo per arrivare alla gestualità superando la narrazione. Mentre la narrazione produce una lettura obbligata dell’opera, l’astrazione permette al visitatore di interpretarla liberamente».

Una violenza creatrice che partorisce un’opera armonica e innovativa, frutto di ingegno artistico e di sperimentazioni. Il gesto, il lancio della pittura a distanza su una tela, diventa velocità, dinamismo, desiderio di allargare il campo magnetico dell’opera inserendo in questa anche il caso. «Quando lo si vedeva lanciare i suoi colori in aria – ricorda Morra – era poesia. Vedere come la pittura diventa forma, come assume un corpo nella vibrazione dello spazio nel raggiungere l’obiettivo, vedere un colore che parte da un punto e va a finire in un altro, mi emoziona».

«Un colore senza materia non esiste. – scriveva in una delle riviste Gutai, Shimamoto – Se in procinto di creare non si getta via il pennello, non c’è speranza di emancipare le tinte. Senza pennello le sostanze coloranti prenderanno vita per la prima volta.» Shimamoto trova nelle sue esplosioni di colore, non tanto la propria immagine allo specchio ma l’ansietà della condizione moderna, in un’arte dell’imprevedibilità. «La dimensione del tempo è la scommessa di oggi – conclude il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando – Palermo è una città viva, sta vivendo un profondo cambiamento culturale, siamo cambiati di testa». “Shozo Shimamoto, Spazio nel nel tempo” è un progetto della Fondazione Morra di Napoli realizzato in collaborazione con l’associazione Shozo Shimamoto e la Fondazione Sant’Elia. 

La retrospettiva sarà visitabile fino al 6 agosto dal martedì al venerdì, dalle 9,30 alle 18,30 e nel fine settimana dalle 10,00 alle 13 e dalle 15,30 alle 18,30.

Maria Vera Genchi

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