DAL 2010 SI È APERTA LA CACCIA GROSSA ALLA FORMAZIONE. ERA CERTO OPPORTUNO CHE QUESTO AVVENISSE. MA NON CARATTERIZZANDOLA CON CONDANNE GENERALIZZANTI E SOPRATTUTTO CON ERRORI DI VALUTAZIONE CHE NASCONO DALL’IGNORANZA DELLE PECULIARITÀ CHE CONTRADDISTINGUONO IL SISTEMA SOCIO-ECONOMICO SICILIANO. NEL QUALE VIGE STRANAMENTE UN DIVIETO DI CACCIA PER ALTRI SETTORI: SANITÀ, AGRICOLTURA, TRATTAMENTO DEI RIFIUTI…
di Piero David
E’ ben noto come sulla formazione professionale siciliana, dopo lunghi ed interessati silenzi, si ritenga di poter sparare a palle incatenate criminalizzando indistintamente l’intero sistema: dagli enti gestori ai docenti, agli studenti, ai sindacati. Un altro tema che attira sarcasmi è costituito dal contenuto dei corsi che pure, con i dovuti errori, si riferiscono a mansionari ufficiali. Fin qui colore e caricatura. Vediamo invece un tema di fondo fuori da ogni possibile esercitazione ironica: i corsi dedicati all’insegnamento dell’inglese e dell’informatica. Autorevoli valutazioni esterne alla regione li bollano come ripetitivi rispetto ad altre esperienze didattiche, assolutamente scollegati da profili professionali, non in grado di assicurare occupazione.
La critica sottende un equivoco di fondo: che, cioè, la formazione professionale, in qualunque settore, debba immediatamente mettere in grado il soggetto che ne ha usufruito di trovare un lavoro e che, se così non avviene, questo vuol dire che la formazione professionale è un servizio fornito con incapacità, inefficienza, illegalità. Se si svolgesse lo sguardo al mercato del lavoro in Sicilia, alle offerte di lavoro da parte delle imprese, alle esperienze di formazione professionale nelle altre regioni d’Italia, si comprenderebbe che il nesso tra formazione professionale ed occupazione purtroppo non può essere predeterminato. Non risultano, a nostra conoscenza, imprese impossibilitate a produrre per mancanza di addetti specializzati – del resto, è chiara dimostrazione di questa tesi il mancato utilizzo da parte delle aziende siciliane delle risorse Fondimpresa, fondi cui contribuiscono imprenditori e lavoratori e con i quali si possono realizzare percorsi formativi all’interno dell’azienda. Ciò non toglie la necessità di verificare oggetto e contenuto dei corsi, in molti casi frutto di fantasiosi interpretazioni della futura offerta di lavoro.
Torniamo ai corsi di inglese e di informatica. Chi ne propone l’abolizione non conosce evidentemente il sistema scolastico siciliano, il business che si nasconde dietro l’iniziativa privata finalizzata a proporre specializzazioni linguistiche ed informatiche. E, soprattutto, il fenomeno diffuso di giovani che non lavorano, né studiano. Riuscire ad offrire per questi ultimi una base di conoscenza, sia pure approssimativa, è particolarmente benefico. Non c’è professione oggi che possa coniugarsi con un analfabetismo digitale o con la non conoscenza di almeno una lingua straniera. E questo è vero anche nella ricollocazione nei lavoratori espulsi da un mercato del lavoro sempre più esigente e competitivo. Altra cosa è evidentemente valutare programmi, contenuti, metodologie di questi corsi.
Dal 2010 si è aperta la caccia grossa alla Formazione. Era certo opportuno che questo avvenisse. Ma non caratterizzandola con condanne generalizzanti e soprattutto con errori di valutazione che nascono dall’ignoranza delle peculiarità che contraddistinguono il sistema socio-economico siciliano. Nel quale vige stranamente un divieto di caccia per altri settori: sanità, agricoltura, trattamento dei rifiuti.
Non bisognerebbe aggiornare il calendario venatorio?
Piero David
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