Wind Jet, male minore di dipendenti e clienti In Sicilia a pagare sono sempre gli stessi

La Wind Jet ha spento i motori e il caos regna negli aeroporti italiani. In tutta questa vicenda, una tragedia sociale fatta di suspense, attese e colpi di scena in cui protagonisti illustri si scambiano risposte a colpi di comunicati stampa e 800 lavoratori e 300mila passeggeri fanno da comparse, c’è un punto fermo: la Wind Jet non è mai stata un’azienda perfetta. In questi anni i passeggeri hanno avuto di che lamentarsi – ritardi, riprogrammazioni, bagagli smarriti, call center mangiasoldi – ma hanno viaggiato a tariffe abbordabili. E hanno subito, scegliendo il male minore. In questi anni, i dipendenti hanno ricevuto gli stipendi in ritardo, le tredicesime sempre a sorpresa, solo tre euro per i turni di notte e – denuncia qualcuno – tanto mobbing. D’altra parte, i lavoratori escono allo scoperto solo ora che tutto sembra perduto. Prima stavano zitti, fino a ieri nessuno aveva voluto che il suo nome comparisse accanto a una delle loro dichiarazioni. C’è poi chi sostiene di essere stato licenziato proprio per non aver taciuto e adesso dovrà aspettare che sia un giudice a dirgli se aveva ragione. Stavano zitti – dicono – perché era il prezzo da pagare per avere un lavoro. Hanno subito scegliendo anche loro il male minore. Ed erano perfino contenti. Pur con tutte le difficoltà, per loro quelli passati in Wind Jet sono stati anni pieni di soddisfazioni. Hanno portato in giro per il mondo milioni di persone. E ora all’aeroporto, riuniti in assemblea permanente, protestano perché non vogliono perdere il posto. Perché in Sicilia non puoi avere di meglio, non puoi avere nulla.

Il loro destino è appeso a un filo da mesi. A gennaio l’azienda è in crisi ma assicura che non chiuderà perché ci sarà una ricapitalizzazione. Per la prima volta in nove anni i dipendenti nominano la parola sindacato. Poi Alitalia la vuole comprare. E o si fonde con il gruppo Cai o l’alternativa è il fallimento. Ad aprile a sorpresa per i dipendenti arriva una bella lettera di mobilità. Che si trasforma a maggio in cassa integrazione. Alitalia non può tenerseli tutti. E per prenderseli , a giugno, chiede loro tramite la Wind Jet di rinunciare a quasi tutti i loro diritti. La compagnia di bandiera rimprovera l’Antitrust che perde troppo tempo per decidere. Ma quando, a luglio, l’autorità dice sì all’acquisizione e tutto sembra fatto, Alitalia invece di firmare fa sapere che ha cambiato idea. La Wind Jet non è più conveniente. Si aprono tavoli e trattative, in barba allo stato cardiaco dei dipendenti e ai disagi moltiplicati per i passeggeri. La compagnia nazionale, ad agosto, ci ripensa e, magnanima, chiede più garanzie per firmare l’accordo. Si fissa anche la data, ma alla fine l’accordo salta. I vertici delle due aziende sembrano dirselo solo attraverso comunicati stampa. I lavoratori lo sanno dai sindacati, ché l’azienda in tutti questi mesi – in tutti questi anni – non li ha mai degnati di comunicazioni a riguardo.

Mesi di trattative, accordi e ripensamenti. Le azioni dei sindacati sono state inconsistenti. L’Enac e il governo sono rimasti a guardare. Tutti si svegliano adesso. Ora che è scoppiata l’emergenza. La Wind Jet ferma i suoi aerei proprio la settimana di ferragosto, quando tutti hanno programmato viaggi e vacanze da mesi. Quando gli aeroporti sono pieni. E accanto ai lavoratori disperati, all’aeroporto ci sono anche i passeggeri. Nessuno, per tutelarli, si è preso la briga di dire alla low cost sull’orlo di un conclamato fallimento di non emettere biglietti fino alla conclusione della trattativa con un’azienda che da mesi annuncia la cassa integrazione per i suoi dipendenti. La sceneggiatura della vicenda raggiunge il climax e la questione arriva sui tavoli del governo. Se fin dall’inizio – a gennaio – chi di dovere avesse bloccato la vendita di biglietti e chi di dovere si fosse occupato della trattativa e dei lavoratori come si deve, non ci sarebbe stata l’emergenza lavoratori-passeggeri insieme. Purtroppo le aziende falliscono. Altrove falliscono senza creare disagi a milioni di persone.

Ci si dovrebbe chiedere perché un’azienda che ha fatto volare così tante persone – fino a tre milioni in un anno solo – che certo non strapagava i suoi dipendenti e non faceva volare nel lusso i suoi passeggeri, sia arrivata al fallimento. Che fine hanno fatto le sue entrate e a cosa è servita in questi anni al suo presidente. È vero, la crisi è generale, il carburante costa troppo e ci sono stati per la Wind Jet un po’ di incidenti sfortunati, ma i voli erano sempre pieni e ci sono low cost che riescono a vivere, e anche bene. C’è da chiedersi perché Alitalia avrebbe dovuto comprarsela se adesso può tenere le sue tratte e avere un concorrente – il concorrente per eccellenza a Catania – in meno.

Ora, in una vicenda tutta italiana, se l’azienda fallisce lo Stato sarà il cattivo e lui, Antonino Pulvirenti, il santo. Quello che ha dato lavoro ai siciliani e per colpa di Alitalia e dello Stato dovrà toglierglielo. Il patron del Calcio Catania ha una società che fallisce lasciando per la strada 800 lavoratori (500 suoi e 300 dell’indotto che lavorava per lui), ma ne esce vincitore. E vince anche Alitalia, con un concorrente nel mercato in meno e i soldi di tutti i voli da riproteggere. A pagare sono sempre gli stessi. Pagheranno i lavoratori siciliani, che devono ringraziare chi li ha trattati male per anni, e i passeggeri siciliani, che devono ringraziare chi ora li fa partire pagando un supplemento e domani li farà volare a prezzi maggiorati.

Agata Pasqualino

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