Vivere nell’«isola delle isole»

Si narra che quando Dio creò il mondo e vi profuse i vari colori, sulla tavolozza gli restarono di ogni colore delle piccole quantità e, non sapendo come distribuirle, le riversò tutte su un’isola del Mediterraneo: la Sicilia, l’«isola delle isole».
La nostra meravigliosa terra diventa tardi meta di viaggio da parte di studiosi e di quanti, sollecitati dall’avvio del Grand Tour, visitano l’Europa a partire dal Settecento. La Sicilia viene considerata misera, territorio di briganti, area fortemente sismica e con un sistema viario del tutto arretrato.
Eppure, comincia ad attirare fortemente l’attenzione dei viaggiatori sia perché ancora inesplorata sia per le numerose leggende che su di essa aleggiano in uno spirito mitico e primitivo. Nondimeno, un viaggio in Sicilia rappresenta un’immersione nella storia dell’uomo (si ricordi la copiosità di vestigia classiche presenti sul territorio).
Numerose sono le suggestioni che meriterebbero una citazione. Molti viaggiatori del Grand Tour settecentesco hanno lasciato preziose testimonianze delle bellezze artistiche e paesaggistiche rilevate nel nostro territorio, e vari sono gli scrittori, nativi e non, che hanno fatto della Sicilia lo sfondo ideale delle loro trame.
La mia intenzione è quella di riportare qui, in breve, alcuni passi scelti non secondo criteri di selezione definiti, ma semplicemente perchè mi sembrano emblematici di alcuni tratti che considero inscindibili dall’essere siciliani.
J. W. Goethe rimase in Sicilia dal 2 aprile all’11 maggio del 1787. Di questo viaggio è testimonianza il suo Viaggio in Italia. In esso, degli attimi subito dopo lo sbarco e della città di Palermo scrive:
 
La purezza dei contorni, la soavità dell’insieme, il degrado dei toni, l’armonia del cielo, del mare, della terra, […] Chi li ha visti una volta non li dimentica per tutta la vita.
 
E ancora scriverà:
 
Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Nel verde fogliame splendono arance d’oro
Un vento lieve spira dal cielo azzurro
Tranquillo è il mirto, sereno l’alloro
Lo conosci tu bene?Laggiù, laggiù
Vorrei con te, o mio amato, andare!
 
Per Goethe, insomma, il viaggio in Sicilia rappresenta un sogno, un’esplorazione anche di se stesso, un’esperienza irripetibile che lo segnerà per sempre.
Dopo il giugno del 1955, Giuseppe Tomasi di Lampedusa cominciò a scrivere il suo romanzo, Il Gattopardo, terminandone la prima stesura alla fine del 1956. L’opera era il frutto di un’esperienza che era durata tutta una vita e voleva ricostruire le vicende della famiglia Salina nel contesto degli anni che vanno dal 1860 al 1910.
Nella parte quarta del romanzo, relativa al novembre del 1860, il Principe Fabrizio intrattiene una conversazione col Piemontese, il cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo, segretario della prefettura, venuto ad offrirgli la carica di senatore del Regno d’Italia.
“Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il ‘la’; […] eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. […] Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; […] Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana.”
“[…] Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d’imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo.”
Una Sicilia statica sotto la canicola dei mesi estivi. Polvere. Rovine. Torpore. Inattività.
L’immagine che emerge dal Gattopardo pare viva, quasi tangibile, quasi attuale.
Altra emozionante descrizione della nostra terra, della nostra quotidianità ci viene offerta dal conterraneo Gesualdo Bufalino:
Basta affacciarsi da una finestra e guardare la strada giù, l’orizzonte laggiù. Tutto apparirà esorbitante ed estremo, tutto assumerà i colori gridati d’un palcoscenico. A cominciare dal mare che ci circonda, immutabilmente azzurro, ma capace delle più inattese e tempestose rivolte; sotto un cielo soave di primavere precoci e torrido di canicole interminabili; con pianure molli, solcate da fiumi che hanno sdruccioli nomi antichi, Anapo, Ippari, Platani… con altipiani simili a scacchiere dipinte, dove muretti di sasso disegnano geroglifici che solo un Dio geometra interpreta dalla sua nube o un’allodola vertiginosa; con vigne verdi di grappoli, miniere gialle di zolfo, saline di sale bianco, rocce di lava nera… Un luogo di vipere e spine, di mandorli e gelsomini; di grazia, di ferocia; di macerie regali, di micidiali magnificenze. Teatro i funerali, le feste; gli odi, gli amori… quando non si dissimulano dietro la maschera d’un sofisma o di un’omertà… Sì, perché qui è frequente che le qualità più rare, nell’attingere il parossismo, si rovescino nel proprio contrario; che, poniamo, la solidarietà e l’amicizia assumano aspetto di complicità e turpe pactum sceleris; che il senso della famiglia si muti
in tragico patriarcato o malinteso senso d’onore…                        
 
GESUALDO BUFALINO – IDENTIKIT TASCABILE DEL SICILIANO ECCELLENTE:
1) Tendenza a surrogare il fare col dire. Pessimismo della volontà
2) Razionalismo sofistico. Il sofisma vissuto come passione.
3) Spirito di complicita contro il potere, lo Stato, l’autorita, – intesi come “straniero”.
4) Orgoglio e pudore in inestricabile nodo.
5) Sensibilita patologica al giudizio del prossimo.
6) Sentimento dell’onore offeso (ma spesso solo quando il disonore sia lampante e non prima).
7) Sentimento della malattia come colpa e vergogna.
8) Sentimento del teatro, spirito mistificatorio.
9) Gusto della comunicazione avara e cifrata (fino all’omerta) in alternativa all’estremismo orale e all’iperbole dei gesti.
10) Sentimenti impazzito delle proprie ragioni, della giustizia : offesa.
11) Vanagloria virile, festa e tristezza negli usi del sesso.
12) Soggezione al clan familiare, specialmente alla madre padrona.
13) Sentimento proprietario della terra e della casa come artificiale prolungamento di sé e sussidiaria immortalità.
14) Sentimento pungente della vita e della morte, del sole e della tenebra che vi si annoda.
 
Il “sentimento” come attività del “sentire” predomina. Il siciliano “sente “ la vita («l’albero vive e non si sente. All’uomo, invece, nascendo è toccato questo triste privilegio di sentirsi vivere»: sono parole, queste, di “un siciliano”…).                                                                                              Andrea Camilleri, altro siciliano, nella Biografia del figlio cambiato, parla dell’amicizia siciliana:             
Costante dell’amicizia siciliana è il dovere che l’uno ha d’intuire come l’altro si comporterà in una certa circostanza, senza che ci sia stato preventivo accordo: testa e cuore dell’uno devono agire in perfetta sintonia con testa e cuore dell’altro, la sincronizzazione deve essere assoluta, il minimo scarto, anticipo o ritardo che sia, può generare un’incrinatura destinata col tempo a diventare spalanco, crepaccio.[…]. Insomma, l’amicizia siciliana è un’arte difficile e forse bisognerebbe chiamarla con un nome diverso, fratrìa, fratellanza, consanguineità d’elezione. Fra due amici siciliani si crea come un cerchio magico che esclude gli altri, i fatti del mondo e macari della Storia.
Dunque, un’alleanza d’anime e di cuori: anche qui un sentimento!
La rassegna di citazioni, che ha avuto avvio da descrizioni paesaggistiche fino a concludersi con quelle emozionali, alla ricerca di una riflessione su cosa davvero voglia dire esser nati in Sicilia e non altrove, lascia ora spazio ad ognuno di aggiungere ulteriori suggestioni. Ciò che emerge, a mio avviso, è che non ci sono visioni discordi riguardo questa terra e i suoi abitanti: siamo proprio così. Siamo siciliani e, per questo, non potremmo essere altro.

Pamela Paci

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