Catania e la musica “difficile”: fotografia di due realtà apparentemente incompatibili.
Questo il tema centrale del dossier “Toccata e fuga”, frutto della collaborazione di diverse realtà giornalistiche riunite nell’associazione “Lavori in corso”, presentato e discusso nell’incontro di venerdì scorso, presso il Gapa, centro di aggregazione popolare di San Cristoforo.
Protagonisti dell’ incontro-dibattito musicisti e operatori culturali catanesi, che si sono messi a confronto sulla questione della promozione di artisti locali e di musica poco commerciale, perché fuori dall’ordinario.
Ad introdurre il dibattito è stato Luca Salici, dell’Associazione “Lavori in corso”, il quale ha spiegato come l’obiettivo del dossier sia stato quello di fare una mappa degli artisti catanesi, chiedendo agli stessi un’opinione sull’argomento, al fine di rispondere ad un’esigenza di confronto.
«Il problema non è solo economico, ma politico. I soldi ci sono, ma non vengono spesi per costruire un vero progetto musicale in città. I musicisti catanesi non vengono considerati e hanno, quindi, grandi problemi finanziari e di condivisione. E’ importante trovare delle soluzioni».
Rocco Rossitto, autore dell’articolo introduttivo del dossier, “C’è vita su Marte?”, ha spiegato che «il dossier si pone l’obiettivo di inquadrare la situazione attuale del panorama musicale catanese, rappresentando, al contempo, un punto di riferimento per proiettarci al futuro. La conclusione, quindi, preso atto del malessere, è un interrogativo comune su quali potrebbero essere le proposte da avanzare»,
Per Stefano Sciotto, operatore dell’Associazione culturale “Alan Lomax”, «bisogna partire dalla legge, perché a monte della questione c’è un grave problema di legalità e di distribuzione del denaro messo a disposizione dallo Stato. È ingiusto che ci siano associazioni che hanno diritto ai contributi statali e associazioni che non vengono finanziate affatto. L’idea di un osservatorio, quindi, è fondamentale, al fine di garantire una distribuzione più equa dei fondi destinati alla cultura musicale. Catania dovrebbe, dunque, focalizzarsi sulle direttive regionali e istituire, a tale scopo, un’efficace comunicazione con Palermo».
Dall’altro lato, interessante la testimonianza di un musicista errante, che negli anni ha partorito idee e proposto progetti, senza, però, ottenere mai una soddisfazione professionale piena e costante. Batterista jazz del movimento culturale “Improvvisatore involontario”, Francesco Cusa ha fatto un resoconto dettagliato della sua storia artistica, mettendo in luce gravi problematiche di collaborazione fra musicisti e istituzioni. «La domanda che dobbiamo porci è perché a Catania sono stati drasticamente ridotti gli spazi in cui suonare. La risposta risiede nella fiscalizzazione della musica, che ha reso l’illegalità la strada più ovvia», afferma Cusa. «C’è troppo affollamento di proposta e, quindi, tutto si è livellato verso il basso. A Catania chiedere cento euro per suonare una sera è diventato una chimera, mentre d’altra parte per eventi come l’Etnafest si spendono milioni di euro».
Un problema emerso durante il dibattito è quello della difficoltà di definire dei ruoli ben precisi: i musicisti si fanno manager di se stessi e, presi dalla caccia all’ingaggio, perdono di vista il loro obiettivo artistico, che non è quello di raccogliere la folla, ma la giusta folla; creare un pubblico musicalmente “istruito” è una tappa fondamentale di questo progetto di rinnovamento e promozione musicale.
La necessità di infittire la collaborazione fra i musicisti e le istituzioni è stata sottolineata dalle parole dello stesso Francesco Cusa: «Bisogna creare l’evento per catturare l’attenzione del pubblico e per farlo abbiamo bisogno di luoghi che già di per sé rappresentano un evento. Si deve unire la musica “difficile” a un’occasione facilmente fruibile; bisogna stimolare gli artisti verso questa direzione e devono essere le istituzioni a farlo».
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