Vittorio Emanuele, odissea per un intervento Una paziente: «Per loro siamo solo numeri»

Gentile redazione di Ctzen,

mi chiamo Lucia Guarnaccia e vi scrivo perché voglio denunciare una situazione vergognosa che ho vissuto, mio malgrado, all’ospedale Vittorio Emanuele di Catania.

Ho 76 anni e cinque anni fa mi sono ammalata di mieloma multiplo lambda, un tumore del midollo che però colpisce le ossa, facendole praticamente sgretolare. Per questo male, che non è guaribile ma che fortunatamente sto riuscendo a tenere sotto controllo, sono sotto cura chemioterapica all’ospedale Garibaldi di Nesima. Purtroppo uno dei farmaci necessari per curare la mia malattia mi ha causato un’osteonecrosi alla mandibola, per cui si è reso necessario un intervento urgente di chirurgia orale. Qui comincia il mio calvario.

Per operarmi mi sono rivolta al reparto di Odontoiatria del Vittorio Emanuele, dove ero già in cura da due anni. Qui ho trovato medici davvero in gamba, umani e professionali, che hanno preso a cuore la mia situazione e mi hanno fornito ottime cure. Purtroppo non posso dire lo stesso dell’organizzazione interna della struttura.

Fissata la data dell’intervento mi vengono prescritti una serie di esami di routine necessari al percorso pre-operatorio: Tac, visita cardiologia ed elettrocardiogramma, esami del sangue e visita anestesiologica. Per sottopormi a questi controlli il personale amministrativo del reparto di Odontoiatria mi ha dato quattro appuntamenti diluiti nell’arco di un mese e mezzo, per di più in due presidi diversi. Qui mi sono venuti i primi dubbi, perché di solito la preparazione all’intervento viene fatta in regime di ricovero al massimo un paio di giorni prima dell’operazione. E’ allucinante che delle persone bisognose di un intervento chirurgico e quindi già malate, magari anziane, sofferenti e spaventate, debbano fare avanti e indietro per gli ospedali per fare dei semplici accertamenti che si potrebbero benissimo fare tutti insieme il giorno prima di andare sotto ai ferri. Alla mia richiesta di chiarimenti mi viene risposto che il ricovero costa troppo alla struttura e che l’utente, ovvero il malato, deve sottoporsi a questa trafila paurosa solo per un mero risparmio economico. Cose da rabbrividire. Non avendo altra scelta, intraprendo questo percorso obbligato e comincio a fare i miei esami.

La prima tappa di questa via crucis era la TAC, che avrei dovuto fare all’ospedale Santo Bambino, alle otto del mattino. Mi presento il giorno stabilito e mi viene detto che lo strumento è rotto e che quel giorno non avrei potuto farla. Da premettere che l’esame era stato prenotato da uno dei presidi della stessa azienda, dove però il personale addetto non sapeva neppure che al Santo Bambino il macchinario fosse fuori uso. Una disorganizzazione da non crederci. Per esasperazione, evito di fare polemica e mi viene fornita un’altra data.

Quello stesso giorno dovevo fare le analisi del sangue al Vittorio Emanuele, quindi, digiuna dalla sera prima, mi sono recata in laboratorio per attendere il mio turno per il prelievo. Sul posto mi rendo conto di non avere con me il contenitore sterile per gli esami alle urine. L’infermiera mi indica di prendere un bicchierino dalla macchinetta del caffè all’ingresso, a pagamento tra l’altro, e di riempirlo in bagno. Vi giuro che non mi era mai capitata una cosa del genere. E’ possibile che in un ospedale non abbiano un contenitore sterile? Non pretendevo certo di averlo gratis, l’avrei pagato, ma è scandaloso che si dica alla gente, anziana, disabile, magari con protesi o stampelle, di urinare in un bicchiere di plastica in un bagno sporco, senza sapone né carta igienica. Avrei preferito che mi avessero detto di andare a comprarne uno in farmacia (che nei paraggi di via Plebiscito non mancano di certo), o di tornare un’altra volta piuttosto che dover subire una situazione così umiliante. Stavo male ed ero stanca, per questo ho ingoiato il boccone amaro e ho fatto le analisi.

Ma purtroppo non finisce qui. Dopo una settimana mi presento al Santo Bambino per fare la Tac che era stata rimandata e scopro che il macchinario è ancora guasto. Non potevo crederci. Lì non ce l’ho fatta più e sono tornata in Odontoiatria al Vittorio Emanuele perché volevo disdire l’intervento. Tra l’altro, se al Vittorio Emanuele le Tac ci sono, perché dovevo farla in un altro ospedale? A questa richiesta di spiegazioni il personale mi ha risposto di non sapere nulla, che si trattava della normale prassi. Per darmi un altro appuntamento mi hanno fatto aspettare un’altra mattinata in segreteria, in una sala piccolissima e piena di gente, finché, ormai esausta, non ho incrociato la mia dottoressa che mi ha detto che avrei dovuto fare la Tac subito perché per dare i risultati ci sarebbero voluti venti giorni e avrei rischiato di far saltare l’intervento.

In pratica sono stata invitata a rivolgermi ad una struttura privata, a pagamento. Fortunatamente io sono esente, ma chi non ha diritto alle esenzioni che deve fare? Deve per forza pagare per un servizio che gli spetta di diritto? Ho fatto la Tac in una struttura privata, ho avuto i risultati in un paio di giorni e così sono riuscita a fare l’intervento. Se non avessi fatto così, probabilmente starei ancora aspettando per la Tac. Senza contare che durante il ricovero la mia famiglia è stata avvisata di stare attenta a furti notturni nelle stanza dei pazienti, molto comuni a quanto pare, e di portasi il repellente anti-zanzare da casa. Ma questi sono dettagli in confronto a quello che mi è successo.

E’ pauroso! Il diritto alla salute si è ridotto ad una corsa ad ostacoli in cui se hai fortuna vinci l’intervento? Per loro sei solo un numero, solo spese, l’aspetto umano viene completamente perso di vista. Ho subito un trattamento vergognoso, inumano, che va denunciato perché non sono l’unica persona che è stata costretta ad una trafila del genere. E’ un disservizio scandaloso! Per carità, qui in Sicilia abbiamo dei medici bravissimi, che lavorano anche loro in cattivissime condizioni e sotto stress. Ma l’organizzazione è terribile. Si deve fare una distinzione perché così a risentirne è tutto il settore sanitario. E sopratutto l’utenza. Mi auguro che le strutture pensino di più ai pazienti e alle loro famiglie che vivono già un disagio enorme: l’essere malati.

Lucia Guarnaccia

[Foto di Hospital Piccole Figlie]

Redazione

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