Anna Conigliaro vive ancora nella casa di famiglia, al piano rialzato di una palazzina di tre piani a Carini. L’immobile, però non è più loro, sequestrato prima, poi confiscato e infine assegnato nel 2016 al Comune dall’Agenzia nazionale che si occupa della gestione dei beni tolti alla criminalità, anche se l’ente in tutti questi anni non l’ha mai utilizzato. Quella casa, infatti, faceva parte del patrimonio del padre della 61enne, Angelo Conigliaro, uno dei nomi che hanno scritto alcune delle pagine più oscure della storia di Cosa nostra dopo la caduta dei corleonesi.
Conigliaro, scomparso di recente, era uno dei capisaldi della famiglia mafiosa di Carini ai tempi in cui il clan del Comune alle porte di Palermo era sotto l’ala dei fratelli Lo Piccolo. Una stagione costellata di violenza e paura. Fin dagli anni Ottanta, secondo le carte degli investigatori, Conigliaro sarebbe stato riscossore del pizzo per conto di Cosa nostra, un ruolo che pare abbia mantenuto fino al 2006, ma l’ombra più nera sul suo curriculum criminale è l’accusa di avere ucciso materialmente Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto, rivali poco graditi dai Lo Piccolo, che ne commissionarono l’eliminazione.
Il nome di Conigliaro era stato tirato in ballo da due pentiti, che hanno sì fornito versioni differenti sugli omicidi, ma hanno entrambi parlato del ruolo centrale del carinese. Addirittura secondo il racconto di un altro pezzo da novanta della mafia di Carini, Gaspare Pulizzi, uno dei due collaboratori di giustizia ad avere ricostruito il delitto, Conigliaro avrebbe ucciso le vittime a colpi di roncola.
Già una volta Anna Conigliaro era stata costretta a lasciare l’abitazione, che sente ancora propria, dopo un’occupazione indebita. Questa volta a scoprirla sono stati gli uomini della guardia di finanza, insieme alla polizia municipale di Carini. «Visto lo stato dell’immobile – spiega il tenente colonnello delle fiamme gialle Alessandro Coscarelli – non era possibile ottenere regolarmente le utenze, per questo è stato effettuato un allaccio abusivo alla corrente elettrica, un reato piuttosto grave visto che consiste in un furto aggravato».
La donna e il marito sono stati inoltre segnalati all’Inps, in quanto beneficiari di reddito di cittadinanza. «Il beneficio – dice ancora il militare – non viene revocato in automatico, ma denunce di questo tipo comportano una revisione da parte dell’istituto di previdenza sociale della posizione delle persone coinvolte. Sarà l’Inps a stabilire se è necessario il recupero delle somme finora percepite, che ammontano a poco meno di novemila euro».
L’ordinanza di sgombero è stata firmata da poco, tanto che i due comunque si trovano ancora all’interno dell’immobile, che tuttavia è finito di recente tra i beni confiscati andati a bando per essere assegnati in concessione alle associazioni e potrebbe venire riutilizzato dopo essere stato ignorato per quattro anni. «Il Comune di Carini – spiega il sindaco Giovì Monteleone – ha in gestione molti immobili confiscati alla mafia, ma diversi di questi non sono nelle condizioni di essere utilizzati, o perché non versano in buono stato o perché non rispettano i parametri necessari per utilizzi pubblici. In questo caso la palazzina non è compatibile con i requisiti richiesti anche solo per ospitare un ufficio. È stato durante il censimento di questi beni che i vigili si sono accorti che l’immobile era occupato». E proprio di Monteleone è la firma sull’istanza di sgombero della palazzina. Lo sgombero è stato firmato qualche giorno fa – conclude – poi è chiaro che andranno fatte valutazioni sull’eventuale presenza di minori o altre persone che necessitano assistenza e quindi tutela».
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