Un motivo, valido, per vedere Hesher, è che durante un inseguimento tra una macchina e una bicicletta, il ragazzino in bicicletta frena e schiva la macchina, cosa che non succede mai in nessun tipo di film, telefilm, serie o qualsiasi altra cosa, prodotta in America come in qualsiasi altro paese del mondo. A parte questo, la storia inizia con un bimbo che per sbaglio incontra un altro bimbo (anche se non anagraficamente) e i due si conoscono, si scoprono vicendevolmente, e si aiutano.
Vero protagonista è il giovane T.J., insieme alla sua lotta contro il dolore della perdita di una persona cara, carissima, e il suo modo particolare di attaccarsi ad ogni ricordo; cerca di non distaccarsi da quel mondo fino a quel momento idilliaco, la sua crescita avviene solo attraverso una delusione d’amore, direi la delusione d’amore, la prima, quella per l’amore impossibile, che diventa possibile per qualcun altro. Solo un altro grande dolore, e un grande discorso (o un discorso da grande) potranno fargli realmente capire come vanno le cose nella vita reale.
Violento, crudo, a volte esageratamente, ma volontariamente, spinto, con finale scontatamente piacevole, intrattiene per 130 minuti, accompagnando lo spettatore tra risate, lacrime e riflessioni. Musica perfetta in ogni scelta, soprattutto quella dei titoli di coda, e come sempre i distributori italiani riescono a rovinare i titoli: dall’originale Hesher si passa ad Hesher was here che non dà più della versione statunitense, non spiega, non intriga, non diverte, non fa null’altro che variare, di poco, ma senza riuscirci, il titolo.
Pietro Sidoti
HESHER (2012) di Spencer Susser con Joseph Gordon-Levitt, Devin Brochu, Rainn Wilson, Piper Laurie, Natalie Portman
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