Un intreccio di compravendite, cemento, affari e un fiume di denaro. È lo spartito che ha caratterizzato l’ultima udienza nel processo a Mario Ciancio Sanfilippo. Il potente imprenditore ed editore etneo, tornato a capo del quotidiano La Sicilia, è accusato dai magistrati della procura di Catania di concorso esterno in associazione mafiosa. In aula, al piano terra del palazzo di giustizia di piazza Giovanni Verga, è toccato all’ex eurodeputato Vincenzo Viola accomodarsi sul banco dei testimoni. Originario della provincia di Agrigento, 70 anni, esponente in passato del Patto di rinascita nazionale di Mariotto Segni, con Ciancio ha condiviso alcune imponenti operazioni imprenditoriali che poi sono diventate le fondamenta dell’indagine allo stesso editore ma anche all’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo. Anche oggi questi nomi si sono incrociati tra loro.
A partire da quanto registrarono le cimici il 28 luglio 2008 nella stanza dell’editore nel palazzo del quotidiano che dirigeva in viale Odorico da Pordenone. Quel giorno, mentre si sorseggiava thè freddo e caffè, si affrontò la questione del centro commerciale Porte di Catania: ipermercato da 150 negozi e cinquemila posti auto. «Da tre mesi non potevano proseguire con i lavori per l’ostruzionismo del Comune di Catania», racconta Viola in aula. L’ex politico è la figura chiave di quella operazione, entrando nell’affare con l’acquisto del 50 per cento delle quote della Icom srl, società che ha poi visto l’ingresso dello stesso Ciancio e della moglie Valeria Guarnaccia. «Per proseguire i lavori – continua Viola in aula – bisognava fare passare una variante, che all’epoca era ferma da un anno e due mesi. Ci dissero che dovevamo pagare sette milioni di euro per gli oneri di urbanizzazione».
Ma che ci faceva Lombardo nell’ufficio di Ciancio a La Sicilia? Il politico autonomista nel 2008 era stato eletto a presidente della Regione dopo cinque anni al vertice della provincia di Catania e i trascorsi a Palazzo degli elefanti da assessore e vicesindaco. «Le società che volevano acquistare il centro – continua Viola – volevano interloquire con le maggiori autorità politiche della città e quindi ci chiesero di incontrare Lombardo e Raffaele Stancanelli». Faccia a faccia poi effettivamente avvenuti. «L’incontro con Stancanelli, che era stato eletto sindaco, – prosegue il testimone – avvenne al Comune e il primo cittadino ci disse che si sarebbe informato per verificare se quanto rappresentato fosse vero». Il secondo appuntamento, invece, è quello nel palazzo del quotidiano cartaceo. «In realtà – prova a precisare Viola – tre giorni prima la variante era stata comunque approvata con il silenzio assenso». Parole che rimandano ai brogliacci delle intercettazioni quando, nella stanza di Ciancio, fu lo stesso Viola a dire a Lombardo: «Io penso che bisogna cambiare qualche cosa – diceva – ammorbidire ma non in denaro». «Con Ciancio abbiamo partecipato a quella riunione – specifica oggi Viola – perché avevamo interesse ad avere i soldi». L’affare alla fine si concretizza tramite la catena francese di supermercati Auchan. L’editore incassa, tra le plusvalenze delle quote e i terreni di proprietà in cui viene costruita l’opera, circa 28 milioni di euro.
Viola in aula, sollecitato dalle domande dei magistrati Agata Santonocito e Antonino Fanara, ripercorre anche l’affare del Sicily outlet village di Agira, in provincia di Enna. Operazione, anche questa da milioni di euro, realizzata dall’imprenditore e patron dell’Atalanta Antonio Percassi. «Ciancio inizialmente era diffidente – svela Viola – e non posso dimenticare il suo stupore quando vide cosa era stato realizzato». Viola e Ciancio entrano in tandem con le società Svim e Cisa e l’obiettivo era vendere il progetto, già impacchettato con varianti, autorizzazioni e nulla osta amministrativi, a Percassi (non coinvolgo nell’indagine, ndr). Quando ad Agira cominciano i lavori nei cantieri, in subappalto, entrano anche i mezzi di Vincenzo Basilotta, Mariano Incarbone e Sandro Maria Monaco. Imprenditori, alcuni dei quali come Incarbone condannato poi in via definitiva, in odore di mafia. «Le società vennero scelte dal gruppo Percassi – spiega Viola – Per alcune imprese poi emerse il coinvolgimento in vicende giudiziarie ma in un primo momento avevano avuto il nulla osta dalla prefettura».
Dopo la vendita del progetto Viola e Ciancio rientrano comunque in gioco. «Mi chiese se potevamo rimanere, anche con una quota minima, al suo fianco – spiega il testimone – La cosa per noi era interessante perché oltre al progetto c’era la possibilità della cessione a un fondo d’investimento». Questo passaggio dell’affare però non si concretizzò, sostiene Viola. «Vittime del cambiamento dei tempi e dei grandi gruppi che non volevano investire in Sicilia – aggiunge – Percassi non riusciva a vendere e nel 2015, ritenendo la situazione insostenibile, chiedemmo a Percassi di ricompare le quote che ci aveva dato e così avvenne». Forse bisognava soltanto aspettare? «Sei mesi fa – conclude Viola – ha venduto tre outlet in Italia, tra cui quello di Agira, per un prezzo di 500 milioni di euro, se fossimo rimasti forse avremmo guadagnato qualcosa».
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