Se c’è un vincitore, che nell’accozzaglia referendaria in salsa sicula si è distinto nella sua corsa per il No alla riforma targata Renzi-Boschi, quello è senza dubbio Nello Musumeci, che ha chiuso la campagna elettorale ricordando come la riforma «nulla ha tolto a quella che era la situazione precedente, tranne nel diritto al voto che avevano 44 milioni di italiani. Prima le Province ora il Senato: evidentemente, Renzi è convinto che siamo l’unico Paese al mondo con una democrazia senza popolo». Nel panorama di centrodestra il movimento di Musumeci, #diventeràbellissima, è certamente quello che si è più speso nella campagna referendaria e chiunque da domani nel centrodestra vorrà discutere di elezioni regionali, dovrà farlo con lui. A cominciare da Gianfranco Micciché, impegnato in una campagna referendaria tiepida, che ha dovuto fare i conti con gli elogi spesi da Berlusconi nei confronti di Matteo Renzi.
Vince anche Totò Cuffaro, nonostante la sua interdizione dal voto, l’ex governatore della Sicilia con alle spalle una condanna per favoreggiamento aggravato alla mafia, è riuscito a chiamare a raccolta i suoi e far pesare il suo fronte sull’esito del voto. Insieme a loro, a festeggiare sono anche gli sparuti militanti di Noi con Salvini in Sicilia, dall’eurodeputato Alessandro Pagano, fino al referente palermitano, Francesco Vozza.
Sul carro dei vincitori ci sono sicuramente Giancarlo Cancelleri e Gianpiero Trizzino, unici big pentastellati rimasti fuori dal pasticciaccio delle firme false, che oggi, legittimati anche dal voto del referendum, possono ricominciare la loro corsa verso le Amministrative e le Regionali del 2017. Festeggiano anche dalle parti di Sinistra Italiana e Rifondazione comunista, dal giovane deputato Erasmo Palazzotto, fino a Vincenzo Fumetta. E chissà in che misura si evolverà l’interlocuzione iniziata in campagna elettorale coi bersaniani in casa Pd, da Pino Apprendi a Mariella Maggio, fino a Giuseppe Zappulla. Certo è che, dopo la tensione degli ultimi giorni, i pochi dirigenti democratici che si sono esposti per il No al referendum possono tirare un sospiro di sollievo. Ma è facile immaginare che non siano gli unici a sorridere in casa Pd. Seppure reduci dalla sconfitta referendaria, i cuperliani in salsa sicula da domani potranno ricominciare l’interlocuzione interna al partito con un Davide Faraone dal potere sicuramente più ridimensionato di come non sarebbe risultato in caso di vittoria. Secondo i più maliziosi, insomma, da Fausto Raciti ad Antonello Cracolici, fino a Bruno Marziano, in casa democrat sarebbero diversi i sorrisi sotto i baffi. Non va male nemmeno al Megafono di Lumia e Crocetta, impegnato senza particolare convinzione nella campagna per il sì, ma di fatto sollevato all’idea che lo strapotere renziano abbia subito una brusca frenata. La vittoria del No potrebbe comportare tra le conseguenze il tramonto della corsa alla candidatura a palazzo d’Orleans per Davide Faraone.
È tempo di leccarsi le ferite per i centristi, da Angelino Alfano a Francesco Cascio, fino a Gianpiero D’Alia, Giovanni Ardizzone, Adriano Frinchi. Le spaccature nell’Udc, la sconfitta referendaria e la vittoria di Forza Italia rischiano di causare una pericolosa emorragia per i moderati di centro, che hanno poco tempo dalla loro e dovranno individuare una exit strategy velocemente.
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