Villa Scabrosa, storia del giardino lavico della città «Dimostrava che la ragione prevale sulla natura»

Uno scenario lavico per celebrare la prima edizione della Giornata nazionale del paesaggio. È caduta su Villa Scabrosa la scelta dell’Archivio di Stato di Catania che, aderendo alla campagna promossa dal ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, ha presentato nella propria sede Paesaggi di lava. La villa Scabrosa del principe Biscari 1760 -1786. In tutta Italia istituti, archivi, biblioteche e soprintendenze si sono mobilitati, con incontri e approfondimenti, per promuovere la cultura del paesaggio e sensibilizzare i cittadini riguardo i temi e i valori della salvaguardia dei territori. «Istituita sullo spirito della convenzione europea del paesaggio – spiega Anna Maria Iozza, direttrice dell’Archivio etneo – l’iniziativa vuole focalizzare l’attenzione sulla cultura del paesaggio, come valore identitario di un popolo, e proporre, anche alle future generazioni, un momento di riflessione sull’importanza della tutela del proprio ambiente». 

Oltre 120 le iniziative che hanno coinvolto lo stivale da nord a sud e ben 97 i progetti presentati al ministero. Ottimo il risultato per la Sicilia, in questa prima edizione, che porta a casa tre menzioni speciali e il primo premio assegnato al progetto Agri Gentium: landscape regeneration incentrato sul recupero della Valle dei Templi. «Noi abbiamo scelto un paesaggio del passato – prosegue la direttrice -. Villa Scabrosa, paragonabile all’odierna villa Bellini, nel 1700 attirava l’attenzione di catanesi e viaggiatori. Oggi non vi sono più tracce di quell’opera straordinaria che però siamo riusciti a ricostruire grazie anche ai documenti custoditi nell’Archivio di Stato>>. Volutamente realizzata su una sciara lavica, a seguito dell’eruzione dell’Etna del 1669, per volere di Ignazio Paternò Castello, conosciuto come il principe di Biscari, Villa Scabrosa si trovava all’interno di un terreno che si estendeva per oltre trenta ettari. Iniziata nel 1760, l’opera rappresenta un cambiamento radicale della concezione estetica del paesaggio.

«Anche se erroneamente viene definita come un giardino paesaggistico – spiega il professore Eugenio Magnano di San Lio, dell’università di Catania – la Villa Scabrosa rappresentava la creazione di un paesaggio artificiale. Era un’opera carica di valori simbolici che non riproduceva solo i progetti, le tesi o le aspirazioni del principe di Biscari. Era un’opera per la città». Cultore di molteplici interessi, Ignazio Paternò Castello, V principe di Biscari, fu una delle personalità di spicco della cultura siciliana del Settecento. Stimato dai viaggiatori europei, che venivano accolti nelle sue proprietà e guidati nelle loro visite, veniva spesso menzionato nei loro diari di viaggio per la sua straordinaria cultura e per le due opere di rara bellezza partorite dalla sua mente: il Laberinto (poi confluito nel Giardino Bellini) e Villa Scabrosa. «Biscari, da illuminista, voleva dimostrare che la ragione può prevalere sulle forze ostili della natura – aggiunge Magnano -. La creazione di Villa Scabrosa ha delle forti valenze simboliche, poiché rappresenta la rinascita della città di Catania, che come l’araba Fenice risorge dal fuoco della lava che l’ha quasi distrutta. L’intervento razionale dell’uomo costituisce la dimostrazione scientifica che le orride lave possono essere colonizzate dalla vegetazione». 

Alla fine dei lavori Villa Scabrosa, ribattezzata anche Villa della Lava, si presentava come una florida area nata su un deserto di lava che divenne ben presto luogo di incontri furtivi della nobiltà catanese. Ma, nel corso degli anni, gli scandali, le invidie e le continue malattie che si verificano nella zona della Villa convinsero i catanesi ad abbandonare quel luogo. Nel 1786, dopo la scomparsa del principe, quella straordinaria opera, sorta su un terreno lunare nei pressi del Faro Biscari, e che in pieno illuminismo aveva rappresentato il passaggio dal giardino bucolico al sublime, offrendo a catanesi e visitatori un nuovo punto di vista nella concezione del proprio territorio, venne completamente abbandonata dagli eredi. Il terreno, diviso in lotti e venduto, divenne un luogo destinato alla semina. Adesso di quello che era non c’è più traccia: tranne il nome di una strada, via Villascabrosa, che ne ricorda il passato.

Salvo Caniglia

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