Prima c’erano topi, blatte e perfino zecche. Da quando un gruppo di persone è andata a vivere negli appartamenti abbandonati di via Gallo, sulle pareti intonacate con gusto ci sono appesi i quadri. Dentro quelle cornici spiccano vecchie foto che descrivono periodi diversi del passato di Catania. Una storia di cui fanno parte pure loro, lasciati soli dalle istituzioni e definiti «abusivi». Nella più elegante delle varianti «occupanti». «In queste stanze sono nati i nostri figli e sono morti i nostri genitori. I mariti sono entrati da quella porta a dirci di avere trovato un lavoro e i bambini a gridare di contentezza per un bel voto preso a scuola», raccontano a MeridioNews le residenti dell’immobile a due passi dal centro storico. «Abbiamo speso soldi ed energie per guadagnarci un tetto sopra la testa, non è giusto che adesso ci venga tolto».
La battaglia dei nuclei familiari che risiedono nel palazzo di via Gallo 4 comincia con un certificato di decesso e un atto testamentario. E si conclude – in maniera non ancora definitiva – con una sentenza del tribunale etneo che li condanna a lasciare gli appartamenti e a pagare più di 20mila euro di affitti arretrati. Senza tenere conto dei soldi che queste famiglie hanno speso per rendere delle topaie «frequentate da spacciatori, tossicodipendenti e malavitosi in case». La struttura fino all’agosto 1970 apparteneva a Gaetana Carbonaro, un’anziana signora benestante e senza eredi. Che, poco prima di ammalarsi di cancro, ha fatto testamento e l’ha lasciata a quella che oggi è l’azienda ospedaliera-universitaria Policlinico. Prima della morte la donna affittava regolarmente alcuni appartamenti dello stabile. Mentre altri erano vuoti. «L’ospedale non ne ha preso subito possesso così, grazie al passaparola, chi ci abitava già ha richiamato parenti e amici con difficoltà. Che sono andati a stare nei piani vuoti e nei fatti a riqualificare con la loro presenza l’intero edificio», racconta una delle residenti.
La donna abita lì da 23 anni insieme al marito e a due figli. Che nel frattempo sono diventati grandi. E che rappresentano la sua famiglia, così «come lo sono tutte le persone che abitano in questo palazzo. Ci vogliamo bene, ci prendiamo cura l’uno dell’altro anche perché abbiamo in comune un grande amore per queste mura», dice. Lei, come gli altri componenti del condomino, ha cercato un accordo con l’azienda ospedaliera per ottenere un regolare contratto di locazione e per vedersi riconosciute le spese di manutenzione affrontate in questi anni. «I referenti del Policlinico hanno fatto alcune perizie tecniche. Prima si sono mostrati favorevoli a un accordo e subito dopo hanno ritrattato. Vogliono solo buttarci fuori per vendere», sostiene un’altra residente che vive nello stabile da dodici anni insieme al marito e al figlio.
«Senza di noi questo palazzo avrebbe fatto la fine di tutti quelli abbandonati in giro per la città. Ogni due-tre anni ci occupiamo della manutenzione straordinaria: tetti, grondaie e tubi. E – continua – sono cifre grosse, soldi che togliamo dalle bocche dei nostri figli». Quando la donna, poco meno che trentenne, è entrata in uno degli appartamenti vuoti di via Gallo 4 «non c’erano le porte e non c’era nemmeno la copertura in quella che poi abbiamo trasformato in una camera da letto. Nell’attuale cucina c’erano topi, blatte, zecche e ci pioveva», racconta. Un mix di fattori – soprattutto strutturali – che ha determinato, per qualche tempo, la mancanza della certificazione di agibilità. Che «siamo riusciti a guadagnarci, nuovamente, a suon di mettere mani al portafogli», chiarisce la residente. L’ospedale, secondo un profilo giuridico stabilito pure da una sentenza (non ancora definitiva, che il legale degli occupanti ha intenzione di impugnare) ha il diritto a chiedere la restituzione del palazzetto ma «di noi cosa ne sarà?».
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