vEyes, la tecnologia che aiuta i non vedenti L’idea di un papà-professore universitario

«Stiamo scoprendo l’acqua calda: utilizziamo la tecnologia esistente prendendo come target le persone diversamente abili». Massimiliano Salfi, docente di Informatica musicale del dipartimento di Matematica ed informatica dell’ateneo di Catania, inizia il suo percorso nel mondo della tecnologia legata alla disabilità due anni fa. Quando alla figlia – che oggi ha dieci anni – viene diagnosticata la retinite pigmentosa, malattia genetica dell’occhio che porta a una progressiva perdita della vista. Da quel momento prende vita una ricerca che lo porta ad affiancare alla sua professione – insegna Informatica anche in altri dipartimenti universitari etnei – l’istinto primario di un genitore: rendere migliore la vita dei propri figli. Parte da qui il progetto vEyes (virtual Eyes) che ha lo scopo di adattare delle applicazioni alle esigenze di persone con deficit visivi.

Il rilevatore di ostacoli

«Questi device possono essere creati con Arduino, un’architettura, una scheda elettronica, che permette di programmare e personalizzare il sistema», spiega il docente. Grazie all’approfondimento realizzato attraverso le tesi di laurea dei suoi studenti e la collaborazione di alcuni colleghi, sta portando a termine una serie di applicazioni che rendono migliore la vita quotidiana. Soprattutto grazie «all‘integrazione con smartphone e tablet» sono vari i progetti sui quali il team che si è formato sta lavorando: «Abbiamo l’app che inquadra un oggetto e dice di che colore è», permettendo anche di gestire meglio il denaro o – banalmente – scegliere come vestire; un rilevatore di ostacoli «per sostituire il bastone bianco per non vedenti» che funziona con sensori ultrasonici; un gioco per tablet che insegna ai bambini il braille musicale. Laddove serve, «sono device da appendere al collo che lasciano le mani libere e comunicano via bluetooth. Stiamo cercando di renderle wearable», indossabili, attraverso occhiali e cinture o pettorine collegate anche a Google maps.

In campo ci sono anche altre idee: dal lettore di codice a barre che permette di avere informazioni su un farmaco, la scadenza di un prodotto alimentare, il suo costo, alle sperimentazioni legate alla psicoacustica o la sintesi vocale di messaggi. Ma una di queste idee funge da stella polare: Genomic info. Una banca dati genetica sulla retinite pigmentosa curata dagli studenti del IV anno della Scuola di specializzazione in Biochimica clinica. «A gennaio abbiamo iniziato ad avere il sentore che anche l’altra mia figlia, di quattro anni, possa avere la stessa malattia». Al momento non è possibile sapere se le ipotesi peggiori sono vere, ma è dalla ricerca sulla patologia che può nascere la speranza per le bimbe del docente e per moltissimi altri piccoli pazienti. Un’altra delle idee in corso di sviluppo riguarda la prevenzione: Red reflex examination, «un’app che permette a qualsiasi pediatra, anche senza conoscenze oculistiche, di fare un test che scongiura forme di tumore molto gravi».

Attualmente, assieme a Salfi e alla moglie, lavorano al progetto «una decina di studenti e alcuni colleghi, ma ho già incontrato professionisti di vari settori che vogliono collaborare, anche a distanza. È un gruppo che si sta ingrandendo, anche all’interno dell’università». E, come tiene a precisare, «tutto quello che facciamo e faremo sarà messo a disposizione gratuitamente». Pian piano da tutta Italia stanno arrivando proposte di qualsiasi genere, «sia per progetti, ma anche per altre cose, come creare il sito». Il docente non nasconde di essere piacevolmente sorpreso da quanto sta raccogliendo: «C’è tanta gente che ha voglia di crederci e impegnarsi».

Per dare una struttura a tutto questo impegno, «stiamo lavorando alla creazione di una onlus», anche per dar vita a progetti che riguardano l’educazione e la disabilità. Un campo nel quale tutta la famiglia Salfi è impegnato. «Organizzeremo degli incontri nelle scuole affinché si faccia capire che un compagno disabile dev’essere uno stimolo». Preparare la strada adesso, ai più giovani, per «avere adulti più consapevoli e preparati». Insegnare a rapportarsi con gli altri, perché «mia figlia non è un ostacolo, ma qualcuno da integrare».

Carmen Valisano

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