«Per contrastare il fenomeno mafioso, non basta colpire le persone, quelle si sostituiscono. Occorre colpire il loro patrimonio». Così il senatore Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia, introduce il tema di cui si è discusso giovedì 17 dicembre nell’aula 1 della facoltà di Giurisprudenza di Catania: l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati (solo una parte dei 120 miliardi di euro che la mafia s.p.a. fattura ogni anno). La conferenza si inserisce nel ciclo di incontri di formazione alla cultura della legalità organizzati dall’associazione Addio Pizzo, con l’obiettivo di sensibilizzare gli studenti e i cittadini, fornendo loro strumenti che rendano impossibile rimanere neutrali o indifferenti di fronte al fenomeno mafioso.
All’incontro, curato dalla docente di diritto penale Annamaria Maugeri, è intervenuto Guglielmino Nicastro, magistrato del tribunale di Palermo, relatore insieme a Lumia. Entrambi hanno spiegato come opera la disciplina normativa: l’uno ha portato le istanze di chi queste norme le applica, l’altro le idee e le prospettive di chi le costruisce.
La strada tracciata dalla legge Rognoni-La Torre del 1982, spiegano, è quella dell’aggressione ai beni mafiosi. Percorso continuato 13 anni fa da oltre un milione di cittadini che, attraverso una petizione, chiesero al Parlamento l’approvazione di una norma che consentisse la destinazione sociale di tali beni. Appello che non rimase inascoltato e che fu concretizzato nella legge 109 del 1996. E’ Nicastro a spiegarla, e lo fa in modo tecnico, comma per comma. «I beni confiscati sono devoluti allo Stato. I beni immobili possono essere mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile, oppure trasferiti al patrimonio del comune ove l’immobile e’ sito, per finalità istituzionali o sociali». Ancora, sempre secondo la legge, «il comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo gratuitamente a una comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato, a cooperative sociali o a comunità terapeutiche e centri di recupero». Beni mobili e altri ricavi dovrebbero essere convertiti in denaro e destinati a fondi per la giustizia. Aprendo un varco nel sottobosco dell’illegalità, «questa legge responsabilizza la cittadinanza, permettendole di impossessarsi in modo diretto dei beni confiscati» sottolinea il senatore Lumia.
Il timore però è che la finanziaria del 2010 possa compromettere quanto ottenuto finora. La manovra, intervenendo in materia di confisca, fissa in 90 giorni il termine per provvedere alla destinazione dei beni. Limite temporale irrisorio, spiegano i relatori, considerate la complessità delle procedure che comporta l’assegnazione, e la carenza di risorse finanziarie per le ristrutturazioni che spesso si rivelano necessarie. Se non ci saranno modifiche dell’ultim’ora, si consentirebbe la vendita sul mercato dei beni confiscati alla mafia, in tutti i casi in cui non sia possibile destinarli a scopi sociali entro i termini previsti. E’ vero che il maxiemendamento del governo prevede la possibilità che il personale delle forze armate e delle forze di polizia riacquisti i beni e che si riconosce il diritto di prelazione agli enti locali dove essi sono ubicati, ma rimane il rischio, secondo i critici di questa legge – dei quali Lumia si fa portavoce – che verrebbe a costituirsi un terreno fertile per le infiltrazioni mafiose. In sostanza, i boss potrebbero rientrare in possesso degli immobili attraverso insospettabili prestanome. «Forse per esigenze di cassa?», si chiedono. Certamente, spiegano i relatori, si otterrebbero maggiori entrate, che confluirebbero nel fondo unico di giustizia per essere così riassegnati in parti uguali: una al ministero dell’Interno, per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, e una al ministero della Giustizia, per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali.
Si decide, dunque, il destino di beni che, secondo dati aggiornati al 30 giugno 2009, sarebbero stati sottratti alle associazioni mafiose per un equivalente di 725 milioni di euro negli ultimi dodici anni. Di questi, ben 225 solo negli ultimi 18 mesi grazie all’attività del commissario straordinario. Dei beni immobili confiscati poi il 46 per cento si trova in Sicilia e il 30 per cento in Campania e Calabria.
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